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Prima Giornata: Introduzione

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Messaggio  Iride Dom Nov 11, 2012 4:20 pm

Prima Giornata
Introduzione alla prima giornata

Novella prima
Ser Cepperello con una falsa confessione inganna uno
santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo
in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto.

Novella seconda
Abraam giudeo, da Giannotto di Civignì stimolato, va in
corte di Roma; e veduta la malvagità de' cherici, torna a
Parigi e fassi cristiano.

Novella terza
Melchisedech giudeo, con una novella di tre anella, cessa
un gran pericolo dal Saladino apparecchiatogli.

Novella quarta
Un monaco, caduto in peccato degno di gravissima punizione,
onestamente rimproverando al suo abate quella
medesima colpa, si libera dalla pena.

Novella quinta
La marchesana di Monferrato, con un convito di galline e con alquante leggiadre parolette, reprime il folle amore del re di Francia.

Novella sesta
Confonde un valente uomo con un bel detto la malvagia
ipocresia de' religiosi.

Novella settima
Bergamino, con una novella di Primasso e dello abate di Clignì, onestamente morde una avarizia nuova venuta in messer can della Scala.

Novella ottava
Guglielmo Borsiere con leggiadre parole trafigge l'avarizia di messer Erminio de' Grimaldi.

Novella nona
Il re di Cipri, da una donna di Guascogna trafitto, di cattivo valoroso diviene.

Novella decima
Maestro Alberto da Bologna onestamente fa vergognare una donna, la quale lui d'esser di lei innamorato voleva far vergognare.

Conclusione della prima giornata

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Introduzione
Comincia la prima giornata del Decameron, nella quale
dopo la dimostrazione fatta dall'autore, per che cagione
avvenisse di doversi quelle persone, che appresso si mostrano,
ragunare a ragionare insieme, sotto il reggimento
di Pampinea si ragiona di quello che più aggrada a ciascheduno.
Quantunque volte, graziosissime donne, meco pensando
riguardo quanto voi naturalmente: tutte siete pietose,
tante conosco che la presente opera al vostro iudicio
avrà grave e noioso principio, sì come è la dolorosa ricordazione
della pestifera mortalità trapassata, universalmente
a ciascuno che quella vide o altramenti conobbe
dannosa, la quale essa porta nella fronte. Ma non voglio
per ciò che questo di più avanti leggere vi spaventi,
quasi sempre sospiri e tralle lagrime leggendo dobbiate
trapassare. Questo orrido cominciamento vi fia non altramenti
che a' camminanti una montagna aspra e erta,
presso alla quale un bellissimo piano e dilettevole sia reposto,
il quale tanto più viene lor piacevole quanto maggiore
è stata del salire e dello smontare la gravezza. E sì
come la estremità della allegrezza il dolore occupa, così
le miserie da sopravegnente letizia sono terminate.
A questa brieve noia (dico brieve in quanto poche lettere
si contiene) seguita prestamente la dolcezza e il piacere
quale io v'ho davanti promesso e che forse non sarebbe
da così fatto inizio, se non si dicesse, aspettato. E nel
vero, se io potuto avessi onestamente per altra parte menarvi
a quello che io desidero che per così aspro sentiero
come fia questo, io l'avrei volentier fatto: ma ciò che,
qual fosse la cagione per che le cose che appresso si leggeranno
avvenissero, non si poteva senza questa ramemorazion
dimostrare, quasi da necessità constretto a
scriverle mi conduco.
Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione
del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di
milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di
Fiorenza, oltre a ogn'altra italica bellissima, pervenne la
mortifera pestilenza: la quale, per operazion de' corpi
superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio
a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti
anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d'inumerabile
quantità de' viventi avendo private, senza ristare
d'un luogo in uno altro continuandosi, verso l'Occidente
miserabilmente s'era ampliata.
E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento,
per lo quale fu da molte immondizie purgata la
città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l'entrarvi
dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion
della sanità, né ancora umili supplicazioni non
una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre
guise a Dio fatte dalle divote persone, quasi nel princi-
pio della primavera dell'anno predetto orribilmente cominciò
i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a
dimostrare. E non come in Oriente aveva fatto, dove a
chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno
di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento
d'essa a' maschi e alle femine parimente o nella anguinaia
o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune
crescevano come una comunal mela, altre come uno
uovo, e alcune più e alcun' altre meno, le quali i volgari
nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette
infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo
mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a
nascere e a venire: e da questo appresso s'incominciò la
qualità della predetta infermità a permutare in macchie
nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in
ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui
grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo
primieramente era stato e ancora era certissimo indizio
di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui
venieno.
A cura delle quali infermità né consiglio di medico né
virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse
profitto: anzi, o che natura del malore nol patisse o che
la ignoranza de' medicanti (de' quali, oltre al numero degli
scienziati, così di femine come d'uomini senza avere
alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero
divenuto grandissimo) non conoscesse da che si movesse
e per consequente debito argomento non vi pren-
desse, non solamente pochi ne guarivano, anzi quasi tutti
infra 'l terzo giorno dalla apparizione de' sopra detti
segni, chi più tosto e chi meno e i più senza alcuna febbre
o altro accidente, morivano.
E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa
dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s'avventava
a' sani, non altramenti che faccia il fuoco alle
cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E
più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il
parlare e l'usare cogli infermi dava a' sani infermità o
cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o
qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata
pareva seco quella cotale infermità nel toccator
transportare.
Maravigliosa cosa è da udire quello che io debbo dire: il
che, se dagli occhi di molti e da' miei non fosse stato veduto,
appena che io ardissi di crederlo, non che di scriverlo,
quantunque da fededegna udito l'avessi. Dico che
di tanta efficacia fu la qualità della pestilenzia narrata
nello appiccarsi da uno a altro, che non solamente l'uomo
all'uomo, ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente
fece, cioè che la cosa dell'uomo infermo stato,
o morto di tale infermità, tocca da un altro animale
fuori della spezie dell'uomo, non solamente della infermità
il contaminasse ma quello infra brevissimo spazio
uccidesse. Di che gli occhi miei, sì come poco davanti è
detto, presero tra l'altre volte un dì così fatta esperienza:
che, essendo gli stracci d'un povero uomo da tale infermità
morto gittati nella via publica e avvenendosi a essi
due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto
col grifo e poi co' denti presigli e scossiglisi alle guance,
in piccola ora appresso, dopo alcuno avvolgimento,
come se veleno avesser preso, amenduni sopra li mal tirati
stracci morti caddero in terra.
Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o
maggiori nacquero diverse paure e immaginazioni in
quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi a un fine tiravano
assai crudele era di schifare e di fuggire gl'infermi
e le lor cose; e così faccendo, si credeva ciascuno medesimo
salute acquistare.
E erano alcuni, li quali avvisavano che il viver moderatamente
e il guardarsi da ogni superfluità avesse molto a
così fatto accidente resistere; e fatta brigata, da ogni altro
separati viveano, e in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi,
dove niuno infermo fosse e da viver meglio,
dilicatissimi cibi e ottimi vini temperatissimamente
usando e ogni lussuria fuggendo, senza lasciarsi parlare
a alcuno o volere di fuori di morte o d'infermi alcuna
novella sentire, con suoni e con quegli piaceri che aver
poteano si dimovano. Altri, in contraria oppinion tratti,
affermavano il bere assai e il godere e l'andar cantando
attorno e sollazzando e il sodisfare d'ogni cosa all'appetito
che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi
esser medicina certissima a tanto male; e così come il
dicevano mettevano in opera a lor potere, il giorno e la
notte ora a quella taverna ora a quella altra andando, bevendo
senza modo e senza misura, e molto più ciò per
l'altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero
che lor venissero a grado o in piacere E ciò potevan far
di leggiere, per ciò che ciascun, quasi non più viver dovesse,
aveva, sì come sé, le sue cose messe in abbandono;
di che le più delle case erano divenute comuni, e
così l'usava lo straniere, pure che ad esse s'avvenisse,
come l'avrebbe il proprio signore usate; e con tutto questo
proponimento bestiale sempre gl'infermi fuggivano a
lor potere.
E in tanta afflizione e miseria della nostra città era la reverenda
autorità delle leggi, così divine come umane,
quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri e esecutori
di quelle, li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o
morti o infermi o sì di famigli rimasi stremi, che uficio
alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun licito
quanto a grado gli era d'adoperare. Molti altri servavano,
tra questi due di sopra detti, una mezzana via, non
strignendosi nelle vivande quanto i primi né nel bere e
nell'altre dissoluzioni allargandosi quanto i secondi, ma
a sofficienza secondo gli appetiti le cose usavano e senza
rinchiudersi andavano a torno, portando nelle mani
chi fiori, chi erbe odorifere e chi diverse maniere di spezierie,
quelle al naso ponendosi spesso, estimando essere
ottima cosa il cerebro con cotali odori confortare, con
ciò fosse cosa che l'aere tutto paresse dal puzzo de' mor-
ti corpi e delle infermità e delle medicine compreso e
puzzolente.
Alcuni erano di più crudel sentimento, come che per avventura
più fosse sicuro, dicendo niuna altra medicina
essere contro alle pestilenze migliore né così buona
come il fuggir loro davanti; e da questo argomento mossi,
non curando d'alcuna cosa se non di sé, assai e uomini
e donne abbandonarono la propia città, le propie case,
i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l'altrui
o almeno il lor contado, quasi l'ira di Dio a punire le
iniquità degli uomini con quella pestilenza non dove
fossero procedesse, ma solamente a coloro opprimere li
quali dentro alle mura della lor città si trovassero, commossa
intendesse; o quasi avvisando niuna persona in
quella dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta.
E come che questi così variamente oppinanti non morissero
tutti, non per ciò tutti campavano: anzi, infermandone
di ciascuna molti e in ogni luogo, avendo essi stessi,
quando sani erano, essemplo dato a coloro che sani
rimanevano, quasi abbandonati per tutto languieno. E
lasciamo stare che l'uno cittadino l'altro schifasse e quasi
niuno vicino avesse dell'altro cura e i parenti insieme
rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con
sì fatto spavento questa tribulazione entrata né petti degli
uomini e delle donne, che l'un fratello l'altro abbandonava
e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse
volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e
quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi
loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.
Per la qual cosa a coloro, de' quali era la moltitudine
inestimabile, e maschi e femine, che infermavano, niuno
altro sussidio rimase che o la carità degli amici (e di
questi fur pochi) o l'avarizia de' serventi, li quali da
grossi salari e sconvenevoli tratti servieno, quantunque
per tutto ciò molti non fossero divenuti: e quelli cotanti
erano uomini o femine di grosso ingegno, e i più di tali
servigi non usati, li qual niuna altra cosa servieno che di
porgere alcune cose dagl'infermi addomandate o di riguardare
quando morieno; e, servendo in tal servigio, sé
molte volte col guadagno perdeano.
E da questo essere abbandonati gli infermi da' vicini, da'
parenti e dagli amici e avere scarsità di serventi, discorse
uno uso quasi davanti mai non udito: che niuna,
quantunque leggiadra o bella o gentil donna fosse, infermando,
non curava d'avere a' suoi servigi uomo, egli si
fosse o giovane o altro, e a lui senza alcuna vergogna
ogni parte del corpo aprire non altrimenti che a una femina
avrebbe fatto, solo che la necessità della sua infermità
il richiedesse; il che, in quelle che ne guerirono, fu
forse di minore onestà, nel tempo che succedette, cagione.
E oltre a questo ne seguio la morte di molti che per
avventura, se stati fossero atati, campati sarieno; di che,
tra per lo difetto degli opportuni servigi, li quali gl'infermi
aver non poteano, e per la forza della pestilenza, era
tanta nella città la moltitudine che di dì e di notte morieno,
che uno stupore era a udir dire, non che a riguardarlo.
Per che, quasi di necessità, cose contrarie a' primi costumi
de' cittadini nacquero tra quali rimanean vivi.
Era usanza (sì come ancora oggi veggiamo usare) che le
donne parenti e vicine nella casa del morto si ragunavano
e quivi con quelle che più gli appartenevano piagnevano;
e d'altra parte dinanzi alla casa del morto co' suoi
prossimi si ragunavano i suoi vicini e altri cittadini assai,
e secondo la qualità del morto vi veniva il chericato;
ed egli sopra gli omeri sé suoi pari, con funeral pompa
di cera e di canti, alla chiesa da lui prima eletta anzi la
morte n'era portato. Le quali cose, poi che a montar cominciò
la ferocità della pestilenza tutto o in maggior
parte quasi cessarono e altre nuove in lor luogo ne sopravennero.
Per ciò che, non solamente senza aver molte
donne da torno morivan le genti, ma assai n'erano di
quelli che di questa vita senza testimonio trapassavano;
e pochissimi erano coloro a' quali i pietosi pianti e l'amare
lagrime de' suoi congiunti fossero concedute, anzi
in luogo di quelle s'usavano per li più risa e motti e festeggiar
compagnevole; la quale usanza le donne, in
gran parte proposta la donnesca pietà per la salute di
loro, avevano ottimamente appresa. Ed erano radi coloro,
i corpi de' quali fosser più che da un diece o dodici
de' suoi vicini alla chiesa acompagnati; li quali non gli
orrevoli e cari cittadini sopra gli omeri portavano, ma
una maniera di beccamorti sopravenuti di minuta gente,
che chiamar si facevan becchini, la quale questi servigi
prezzolata faceva, sottentravano alla bara; e quella con
frettolosi passi, non a quella chiesa che esso aveva anzi
la morte disposto ma alla più vicina le più volte il portavano,
dietro a quattro o a sei cherici con poco lume e tal
fiata senza alcuno; li quali con l'aiuto de' detti becchini,
senza faticarsi in troppo lungo uficio o solenne, in qualunque
sepoltura disoccupata trovavano più tosto il mettevano.
Della minuta gente, e forse in gran parte della mezzana,
era il ragguardamento di molto maggior miseria pieno;
per ciò che essi, il più o da speranza o da povertà ritenuti
nelle lor case, nelle lor vicinanze standosi, a migliaia
per giorno infermavano; e non essendo né serviti né atati
d'alcuna cosa, quasi senza alcuna redenzione, tutti morivano.
E assai n'erano che nella strada pubblica o di dì
o di notte finivano, e molti, ancora che nelle case finissero,
prima col puzzo de lor corpi corrotti che altramenti
facevano a' vicini sentire sé esser morti; e di questi e degli
altri che per tutto morivano, tutto pieno.
Era il più da' vicini una medesima maniera servata, mossi
non meno da tema che la corruzione de' morti non gli
offendesse, che da carità la quale avessero a' trapassati.
Essi, e per sé medesimi e con l'aiuto d'alcuni portatori,
quando aver ne potevano, traevano dalle lor case li corpi
de' già passati, e quegli davanti alli loro usci ponevano,
dove, la mattina spezialmente, n'avrebbe potuti veder
senza numero chi fosse attorno andato: e quindi fatte venir
bare, (e tali furono, che, per difetto di quelle, sopra
alcuna tavole) ne portavano.
Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente,
né avvenne pure una volta, ma se ne sarieno
assai potute annoverare di quelle che la moglie e 'l marito,
di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così
fattamente ne contenieno. E infinite volte avvenne che,
andando due preti con una croce per alcuno, si misero
tre o quatro bare, dà portatori portate, di dietro a quella:
e, dove un morto credevano avere i preti a sepellire, n'avevano
sei o otto e tal fiata più. Né erano per ciò questi
da alcuna lagrima o lume o compagnia onorati; anzi era
la cosa pervenuta a tanto, che non altramenti si curava
degli uomini che morivano, che ora si curerebbe di capre;
per che assai manifestamente apparve che quello
che il naturale corso delle cose non avea potuto con piccoli
e radi danni a' savi mostrare doversi con pazienza
passare, la grandezza de' mali eziandio i semplici far di
ciò scorti e non curanti.
Alla gran moltitudine de' corpi mostrata, che a ogni
chiesa ogni dì e quasi ogn'ora concorreva portata, non
bastando la terra sacra alle sepolture, e massimamente
volendo dare a ciascun luogo proprio secondo l'antico
costume, si facevano per gli cimiterii delle chiese, poi
che ogni parte era piena, fosse grandissime nelle quali a
centinaia si mettevano i sopravegnenti: e in quelle stiva-
ti, come si mettono le mercatantie nelle navi a suolo a
suolo, con poca terra si ricoprieno infino a tanto che la
fossa al sommo si pervenia.
E acciò che dietro a ogni particularità le nostre passate
miserie per la città avvenute più ricercando non vada,
dico che, così inimico tempo correndo per quella, non
per ciò meno d' alcuna cosa risparmiò il circustante contado,
nel quale, (lasciando star le castella, che erano nella
loro piccolezza alla città) per le sparte ville e per li
campi i lavoratori miseri e poveri e le loro famiglie, senza
alcuna fatica di medico o aiuto di servidore, per le vie
e per li loro colti e per le case, di dì e di notte indifferentemente,
non come uomini ma quasi come bestie morieno.
Per la qual cosa essi, così nelli loro costumi come i
cittadini divenuti lascivi, di niuna lor cosa o faccenda
curavano; anzi tutti, quasi quel giorno nel quale si vedevano
esser venuti la morte aspettassero, non d'aiutare i
futuri frutti delle bestie e delle terre e delle loro passate
fatiche, ma di consumare quegli che si trovavano presenti
si sforzavano con ogni ingegno. Per che adivenne i
buoi, gli asini, le pecore, le capre, i porci, i polli e i cani
medesimi fedelissimi agli uomini, fuori delle proprie
case cacciati, per li campi (dove ancora le biade abbandonate
erano, senza essere, non che raccolte ma pur segate)
come meglio piaceva loro se n'andavano. E molti,
quasi come razionali, poi che pasciuti erano bene il giorno,
la notte alle lor case senza alcuno correggimento di
pastore si tornavano satolli.
Che più si può dire (lasciando stare il contado e alla città
ritornando) se non che tanta e tal fu la crudeltà del
cielo, e forse in parte quella degli uomini, che infra 'l
marzo e il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della
pestifera infermità e per l'esser molti infermi mal serviti
o abbandonati né lor bisogni per la paura ch'aveono
i sani, oltre a centomilia creature umane si crede per
certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati
di vita tolti, che forse, anzi l'accidente mortifero, non si
saria estimato tanti avervene dentro avuti? 0 quanti gran
palagi, quante belle case, quanti nobili abituri per adietro
di famiglie pieni, di signori e di donne, infino al menomo
fante rimaser voti! O quante memorabili schiatte,
quante ampissime eredità, quante famose ricchezze si
videro senza successor debito rimanere! Quanti valorosi
uomini, quante belle donne, quanti leggiadri giovani, li
quali non che altri, ma Galieno, Ipocrate o Esculapio
avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono co' lor
parenti, compagni e amici, che poi la sera vegnente appresso
nell'altro mondo cenaron con li lor passati!
A me medesimo incresce andarmi tanto tra tante miserie
ravolgendol: per che, volendo omai lasciare star quella
parte di quelle che io acconciamente posso schifare,
dico che, stando in questi termini la nostra città, d'abitatori
quasi vota, addivenne, sì come io poi da persona degna
di fede sentii, che nella venerabile chiesa di Santa
Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi
alcuna altra persona, uditi li divini ufici in abito lugubre
quale a sì fatta stagione si richiedea, si ritrovarono sette
giovani donne tutte l'una all'altra o per amistà o per vicinanza
o per parentado congiunte, delle quali niuna il
venti e ottesimo anno passato avea né era minor di diciotto,
savia ciascuna e di sangue nobile e bella di forma
e ornata di costumi e di leggiadra onestà. Li nomi delle
quali io in propria forma racconterei, se giusta cagione
da dirlo non mi togliesse, la quale è questa: che io non
voglio che per le raccontate cose da loro, che seguono, e
per l'ascoltare nel tempo avvenire alcuna di loro possa
prender vergogna, essendo oggi alquanto ristrette le leggi
al piacere che allora, per le cagioni di sopra mostrate,
erano non che alla loro età ma a troppo più matura larghissime;
né ancora dar materia agl'invidiosi, presti a
mordere"' ogni laudevole vita, di diminuire in niuno atto
l'onestà delle valorose donne con isconci parlari. E però,
acciò che quello che ciascuna dicesse senza confusione
si possa comprendere appresso, per nomi alle qualità di
ciascuna convenienti o in tutto o in parte intendo di nominarle:
delle quali la prima, e quella che di più età era,
Pampinea chiameremo e al seconda Fiammetta, Filomena
la terza e la quarta Emilia, e appresso Lauretta diremo
alla quinta e alla sesta Neifile, e l'ultima Elissa non
senza cagion nomeremo.
Le quali, non già da alcuno proponimento tirate ma per
caso in una delle parti della chiesa adunatesi, quasi in
cerchio a seder postesi, dopo più sospiri lasciato stare il
dir de' paternostri, seco delle qualità del tempo molte e
varie cose cominciarono a ragionare.
E dopo alcuno spazio, tacendo l'altre, così Pampinea cominciò
a parlare: - Donne mie care, voi potete, così
come io, molte volte avere udito che a niuna persona fa
ingiuria chi onestamente usa la sua ragione. Natural ragione
è, di ciascuno che ci nasce, la sua vita quanto può
aiutare e conservare e difendere: e concedesi questo tanto,
che alcuna volta è già addivenuto che, per guardar
quella, senza colpa alcuna si sono uccisi degli uomini. E
se questo concedono le leggi, nelle sollecitudini delle
quali è il ben vivere d'ogni mortale, quanto maggiormente,
senza offesa d'alcuno, è a noi e a qualunque altro
onesto alla conservazione della nostra vita prendere
quegli rimedii che noi possiamo? Ognora che io vengo
ben raguardando alli nostri modi di questa mattina e ancora
di più a quegli di più altre passate e pensando chenti
e quali li nostri ragionamenti sieno, io comprendo, e
voi similemente il potete prendere, ciascuna di noi di se
medesima dubitare: né di ciò mi maraviglio niente, ma
maravigliomi forte, avvedendomi ciascuna di noi aver
sentimento di donna, non prendersi per voi a quello di
che ciascuna di voi meritamente teme alcun compenso.
Noi dimoriamo qui, al parer mio, non altramente che se
essere volessimo o dovessimo testimonie di quanti corpi
morti ci sieno alla sepoltura recati o d'ascoltare se i frati
di qua entro, de' quali il numero è quasi venuto al niente,
alle debite ore cantino i loro ufici, o a dimostrare a
qualunque ci apparisce, né nostri abiti, la qualità e la
quantità delle nostre miserie. E, se di quinci usciamo, o
veggiamo corpi morti o infermi trasportarsi dattorno, o
veggiamo coloro li quali per li loro difetti l'autorità delle
publiche leggi già condannò ad essilio, quasi quelle
schernendo, per ciò che sentono gli essecutori di quelle
o morti o malati, con dispiacevoli impeti per la terra discorrere,
o la feccia della nostra città, del nostro sangue
riscaldata, chiamarsi becchini e in strazio di noi andar
cavalcando e discorrendo per tutto, con disoneste canzoni
rimproverandoci i nostri danni. Né altra cosa alcuna
ci udiamo, se non: - I cotali son morti, - e - Gli altrettali
sono per morire; - e, se ci fosse chi fargli, per tutto dolorosi
pianti udiremmo.
E, se alle nostre case torniamo, non so se a voi così
come a me adiviene: io, di molta famiglia, niuna altra
persona in quella se non la mia fante trovando, impaurisco
e quasi tutti i capelli addosso mi sento arricciare; e
parmi, dovunque io vado o dimoro per quella, l'ombre di
coloro che sono trapassati vedere, e non con quegli visi
che io soleva, ma con una vista orribile, non so donde il
loro nuovamente venuta, spaventarmi.
Per le quali cose, e qui e fuori di qui e in casa mi sembra
star male; e tanto più ancora quanto egli mi pare che
niuna persona, la quale abbia alcun polso e dove possa
andare, come noi abbiamo, ci sia rimasa altri che noi. E
ho sentito e veduto più volte, ( se pure alcuni ce ne
sono) quegli cotali, senza fare distinzione alcuna dalle
cose oneste a quelle che oneste non sono, solo che l'appetito
le cheggia, e soli e accompagnati, e di dì e di notte,
quelle fare che più di diletto lor porgono. E non che
le solite persone, ma ancora le racchiuse ne' monisteri,
faccendosi a credere che quello a lor si convenga e non
si disdica che all'altre, rotte della obedienza le leggi, datesi
a' diletti carnali, in tal guisa avvisando scampare,
son divenute lascive e dissolute.
E se così è (che essere manifestamente si vede) che faccian
noi qui? che attendiamo? che sognamo? perché più
pigre e lente alla nostra salute, che tutto il rimanente de'
cittadini, siamo? reputianci noi men care che tutte l'altre?
o crediam la nostra vita con più forti catene esser
legata al nostro corpo che quella degli altri sia, e così di
niuna cosa curar dobbiamo, la quale abbia forza d'offenderla?
Noi erriamo, noi siamo ingannate; che bestialità è
la nostra se così crediamo; quante volte noi ci vorrem ricordare
chenti e quali sieno stati i giovani e le donne
vinte da questa crudel pestilenza, noi ne vedremo apertissimo
argomento.
E perciò, acciò che noi per ischifaltà o per traccuttaggine
non cadessimo in quello, di che noi per avventura per
alcuna maniera, volendo, potremmo scampare ( non so
se a voi quello se ne parrà che a me ne parrebbe), io giudicherei
ottimamente fatto che noi, sì come noi siamo, sì
come molti innanzi a noi hanno fatto e fanno, di questa
terra uscissimo; e, fuggendo come la morte i disonesti
essempli degli altri, onestamente a' nostri luoghi in contado,
de' quali a ciascuna di noi è gran copia, ce ne andassimo
a stare; e quivi quella festa, quella allegrezza,
quello piacere che noi potessimo, senza trapassare in alcuno
atto il segno della ragione, prendessimo.
Quivi s'odono gli uccelletti cantare, veggionvisi verdeggiare
i colli e le pianure, e i campi pieni di biade non altramenti
ondeggiare che il mare, e d'alberi ben mille maniere,
e il cielo più apertamente, il quale, ancora che
crucciato ne sia, non per ciò le sue bellezze eterne ne
nega, le quali molto più belle sono a riguardare che le
mura vote della nostra città. Ed evvi oltre a questo l'aere
assai più fresco, e di quelle cose che alla vita bisognano
in questi tempi v'è la copia maggiore, e minore il numero
delle noie. Per ciò che, quantunque quivi così muoiano
i lavoratori come qui fanno i cittadini, v'è tanto minore
il dispiacere quanto vi sono, più che nella città,
rade le case e gli abitanti. E qui d'altra parte, se io ben
veggio, noi non abbandoniam persona, anzi ne possiamo
con verità dire molto più tosto abbandonate; per ciò che
i nostri, o morendo o da morte fuggendo, quasi non fossimo
loro, sole in tanta afflizione n'hanno lasciate.
Niuna riprensione adunque può cadere in cotal consiglio
seguire; dolore e noia e forse morte, non seguendolo,
potrebbe avvenire. E per ciò, quando vi paia, prendendo
le nostre fanti e con le cose oportune faccendoci segui-
tare, oggi in questo luogo e domane in quello quella alle
grezza e festa prendendo che questo tempo può porgere,
credo che sia ben fatto a dover fare; e tanto dimorare in
tal guisa, che noi veggiamo (se prima da morte non siam
sopragiunte ) che fine il cielo riserbi a queste cose. E ricordivi
che egli non si disdice più a noi l'onesta mente
andare, che faccia a gran parte dell'altre lo star disonestamente.
L'altre donne, udita Pampinea, non solamente il suo
consiglio lodarono, ma disiderose di seguitarlo avevan
già più particularmente tra sé cominciato a trattar del
modo, quasi, quindi levandosi da sedere, a mano a mano
dovessero entrare in cammino. Ma Filomena, la quale
discretissima era, disse:
- Donne, quantunque ciò che ragiona Pampinea sia ottimamente
detto, non è per ciò così da correre a farlo,
come mostra che voi vogliate fare. Ricordivi che noi
siamo tutte femine, e non ce n'ha niuna sì fanciulla, che
non possa ben conoscere come le femine sien ragionate
insieme e senza la provedenza d'alcuno uomo si sappiano
regolare. Noi siamo mobili, riottose, sospettose, pusillanime
e paurose; per le quali cose io dubito forte, se
noi alcuna altra guida non prendiamo che la nostra, che
questa compagnia non si dissolva troppo più tosto, e con
meno onor di noi, che non ci bisognerebbe; e per ciò è
buono a provederci avanti che cominciamo.
Disse allora Elissa:
- Veramente gli uomini sono delle femine capo e senza
l'ordine loro rare volte riesce alcuna nostra opera a laudevole
fine; ma come possiam noi aver questi uomini?
Ciascuna di noi sa che de' suoi son la maggior parte
morti, e gli altri che vivi rimasi sono, chi qua e chi là in
diverse brigate, senza saper noi dove, vanno fuggendo
quello che noi cerchiamo di fuggire; e il prender gli strani
non saria convenevole; per che, se alla nostra salute,
vogliamo andar dietro, trovare si convien modo di sì fattamente
ordinarci che, dove per diletto e per riposo andiamo,
noia e scandalo non ne segua.
Mentre tralle donne erano così fatti ragionamenti, e ecco
entrar nella chiesa tre giovani non per ciò tanto che
meno di venticinque anni fosse l'età di colui che più giovane
era di loro; ne quali né perversità di tempo né perdita
d'amici o di parenti né paura di se medesimi avea
potuto amor, non che spegnere, ma raffreddare. De' quali,
l'uno era chiamato Panfilo, e Filostrato il secondo, e
l'ultimo Dioneo, assai piacevole e costumato ciascuno; e
andavano cercando per loro somma consolazione, in
tanta turbazione di cose, di vedere le loro donne, le quali
per ventura tutte e tre erano tra le predette sette, come
che dell'altre alcune ne fossero congiunte parenti d'alcuni
di loro. Né prima esse agli occhi corsero di costoro,
che costoro furono da esse veduti; per che Pampinea allor
cominciò sorridendo:
- Ecco che la fortuna a' nostri cominciamenti è favorevole,
e hacci davanti posti discreti giovani e valorosi, li
quali volentieri e guida e servidor ne saranno, se di
prendergli a questo uficio non schiferemo.
Neifile allora, tutta nel viso divenuta per vergogna vermiglia,
per ciò che l'una era di quelle che dall'un de giovani
era amata, disse:
- Pampinea, per Dio, guarda ciò che tu dichi; io conosco
assai apertamente niuna altra cosa che tutta buona dir
potersi di qualunque s'è l'uno di costoro, e credogli a
troppo maggior cosa che questa non è sofficienti; e similmente
avviso loro buona compagnia e onesta dover
tenere non che a noi, ma a molto più belle e più care che
noi non siamo. Ma, per ciò che assai manifesta cosa è
loro essere d'alcune che qui ne sono innamorati, temo
che infamia e riprensione, senza nostra colpa o di loro,
non ce ne segua se gli meniamo.
Disse allora Filomena:
- Questo non monta niente: là dove io onestamente viva
né mi rimorda d'alcuna cosa la coscienza, parli chi vuole
in contrario; Iddio e la verità l'arme per me prenderanno.
Ora, fossero essi pur già disposti a venire, ché veramente,
come Pampinea disse, potremmo dire la fortuna essere
alla nostra andata favoreggiante.
L'altre, udendo costei così fattamente parlare, non solamente
si tacquero ma con consentimento concorde tutte
dissero che essi fosser chiamati e loro si dicesse la loro
intenzione e pregassersi che dovesse loro piacere in così
fatta andata lor tener compagnia. Per che senza più parole
Pampinea, levatasi in piè, la quale a alcun di loro
per consanguinità era congiunta, verso loro, che fermi
stavano a riguardarle, si fece e, con lieto viso salutatigli,
loro la lor disposizione fe' manifesta, e pregogli per parte
di tutte che con puro e fratellevole animo a tener loro
compagnia si dovessero disporre. I giovani si credettero
primieramente essere beffati; ma, poi che videro che da
dovero parlava la donna, rispuosero lietamente sé essere
apparecchiati; e senza dare alcuno indugio all'opera,
anzi che quindi si partissono, diedono ordine a ciò che a
fare avessono in sul partire. E ordinatamente fatta ogni
cosa opportuna apparecchiare, e prima mandato là dove
intendevan d'andare, la seguente mattina, cioè il mercoledì,
in su lo schiarir del giorno, le donne con alquante
delle lor fanti e i tre giovani con tre lor famigliari, usciti
della città, si misero in via; né oltre a due piccole miglia
si dilungarono da essa, che essi pervennero al luogo da
loro primieramente ordinato. Era il detto luogo sopra
una piccola montagnetta, da ogni parte lontano alquanto
alle nostre strade, di varii albuscelli e piante tutte di verdi
fronde ripiene piacevoli a riguardare; in sul colmo
della quale era un palagio con bello e gran cortile nel
mezzo, e con logge e con sale e con camere, tutte cia-
scuna verso di sé bellissima e di liete dipinture raguardevole
e ornata, con pratelli da torno e con giardini maravigliosi
e con pozzi d'acque freschissime e con volte
piene di preziosi vini: cose più atte a curiosi bevitori che
a sobrie e oneste donne. Il quale tutto spazzato, e nelle
camere i letti fatti, e ogni cosa di fiori, quali nella stagione
si potevano avere, piena e di giunchi giuncata, la
vegnente brigata trovò con suo non poco piacere.
E postisi nella prirna giunta a sedere, disse Dioneo, il
quale oltre a ogni altro era piacevole giovane e pieno di
motti: - Donne, il vostro senno, più che il nostro avvedimento
ci ha qui guidati. Io non so quello che de' vostri
pensieri voi v'intendete di fare; li miei lasciai io dentro
dalla porta della città allora che io con voi poco fa me
ne uscì fuori; e per ciò, o voi a sollazzare e a ridere e a
cantare con meco insieme vi disponete (tanto, dico,
quanto alla vostra dignità s'appartiene), o voi mi licenziate
che io per li miei pensieri mi ritorni e steami nella
città tribolata. -
A cui Pampinea, non d'altra maniera che se similmente
tutti i suoi avesse da sé cacciati, lieta rispose:
- Dioneo, ottimamente parli: festevolmente viver si vuole,
né altra cagione dalle tristizie ci ha fatto fuggire. Ma,
per ciò che le cose che sono senza modo non possono
lungamente durare, io, che cominciatrice fui de' ragionamenti
da' quali questa così bella compagnia è stata fatta
pensando al continuare della nostra letizia, estimo che di
necessità sia convenire esser tra noi alcuno principale, il
quale noi e onoriamo e ubbidiamo come maggiore, nel
quale ogni pensiero stea di doverci a lietamente viver
disporre. E acciò che ciascun pruovi il peso della sollecitudine
insieme col piacere della maggioranza, e per
conseguente, d'una parte e d'altra tratto, non possa, chi
nol pruova, invidia avere alcuna, dico che a ciascun per
un giorno s'attribuisca e 'l peso e l'onore; e chi il primo
di noi esser debba nella elezion di noi tutti sia; di quelli
che seguiranno, come l'ora del vespro s'avvicinerà, quegli
o quella che a colui o a colei piacerà, che quel giorno
avrà avuta la signoria; e questo cotale, secondo il suo arbitrio,
del tempo che la sua signoria dee bastare, del luogo
e del modo nel quale a vivere abbiamo ordini e disponga.
Queste parole sommamente piacquero e ad una voce lei
per reina del primo giorno elessero; e Filomena, corsa
prestamente ad uno alloro, per ciò che assai volte aveva
udito ragionare di quanto onore le frondi di quello eran
degne e quanto degno d'onore facevano chi n'era meritamente
incoronato, di quello alcuni rami colti, ne le fece
una ghirlanda onorevole e apparente, la quale messale
sopra la testa, fu poi mentre durò la lor compagnia manifesto
segno a ciascuno altro della real signoria e maggioranza.
Pampinea, fatta reina, comandò che ogni uom tacesse,
avendo già fatti i famigliari de' tre giovani e le loro fanti,
che eran quattro, davanti chiamarsi, e tacendo ciascun,
disse:
- Acciò che io prima essemplo dea a tutte voi, per lo
quale, di bene in meglio procedendo, la nostra compagnia
con ordine e con piacere e senza alcuna vergogna
viva e duri quanto a grado ne fia, io primieramente costituisco
Parmeno, famigliar di Dioneo, mio siniscalco,
e a lui la cura e la sollecitudine di tutta la nostra famiglia
commetto e ciò che al servigio della sala appartiene.
Sirisco, famigliar di Panfilo, voglio che di noi sia spenditore
e tesoriere e di Parmeno seguiti i comandamenti.
Tindaro al servigio di Filostrato e degli altri due attenda
nelle camere loro, qualora gli altri, intorno a' loro ufici
impediti, attendere non vi potessero. Misia mia fante, e
Licisca, di Filomena, nella cucina saranno continue e
quelle vivande diligentemente apparecchieranno che per
Parmeno loro saranno imposte. Chimera, di Lauretta, e
Stratilia, di Fiammetta, al governo delle camere delle
donne intente vogliamo che stieno e alla nettezza de'
luoghi dove staremo; e ciascuno generalmente, per
quanto egli avrà cara la nostra grazia, vogliamo e comandiamo
che si guardi, dove che egli vada, onde che
egli torni, che egli oda o vegga, niuna novella, altro che
lieta, ci rechi di fuori.
E questi ordini sommariamente dati, li quali da tutti
commendati furono, lieta drizzata in piè disse:
- Qui sono giardini, qui sono pratelli, qui altri luoghi dilettevoli
assai, per li quali ciascuno a suo piacer sollazzando
si vada, e come terza suona, ciascun qui sia, acciò
che per lo fresco si mangi.
Licenziata adunque dalla nuova reina la lieta brigata, li
giovani insieme colle belle donne, ragionando dilettevoli
cose, con lento passo si misono per uno giardino, belle
ghirlande di varie frondi faccendosi e amorosamente
cantando.
E poi che in quello tanto fur dimorati quanto di spazio
dalla reina avuto aveano, a casa tornati, trovarono Parmeno
studiosamente aver dato principio al suo uficio,
per ciò che, entrati in sala terrena, quivi le tavole messe
videro con tovaglie bianchissime e con bicchieri che d'ariento
parevano, e ogni cosa di fiori di ginestra coperta;
per che, data l'acqua alle mani, come piacque alla reina,
secondo il giudicio di Parmeno tutti andarono a sedere.
Le vivande dilicatamente fatte vennero e finissimi vini
fur presti; e senza più chetamente li tre famigliari servirono
le tavole. Dalle quali cose, per ciò che belle e ordinate
erano rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e con
festa mangiarono. E levate le tavole (con ciò fosse cosa
che tutte le donne carolar sapessero e similmente i giovani
e parte di loro ottima mente e sonare e cantare), comandò
la reina che gli strumenti venissero; e per co-
mandamento di lei Dioneo preso un liuto e la Fiammetta
una viuola, cominciarono soavemente una danza a sonare.
Per che la reina coll'altre donne, insieme co' due giovani
presa una carola, con lento passo, mandati i famigliari
a mangiare, a carolar cominciarono; e quella finita,
canzoni vaghette e liete cominciarono a cantare.
E in questa maniera stettero tanto che tempo parve alla
reina d'andare a dormire: per che, data a tutti la licenzia,
li tre giovani alle lor camere, da quelle delle donne separate,
se n'andarono, le quali co' letti ben fatti e così di
fiori piene come la sala trovarono, e simigliantemente le
donne le loro; per che, spogliatesi, s'andarono a riposare.
Non era di molto spazio sonata nona, che la reina, levatasi,
tutte l'altre fece levare, e similmente i giovani, affermando
esser nocivo il troppo dormire di giorno; e
così se n'andarono in uno pratello, nel quale l'erba era
verde e grande né vi poteva d'alcuna parte il sole; e quivi
sentendo un soave venticello venire, sì come volle la
lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a
sedere, a' quali ella disse così:
- Come voi vedete, il sole è alto e il caldo è grande, né
altro s'ode che le cicale su per gli ulivi; per che l'andare
al presente in alcun luogo sarebbe senza dubbio sciocchezza.
Qui è bello e fresco stare, e hacci, come voi vedete,
e tavolieri e scacchieri, e puote ciascuno, secondo
che all'animo gli è più di piacere, diletto pigliare. Ma se
in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel
quale l'animo dell'una delle parti convien che si turbi
senza troppo piacere dell'altra o di chi sta a vedere, ma
novellando (il che può porgere, dicendo uno, a tutta la
compagnia che ascolta diletto) questa calda parte del
giorno trapasseremo. Voi non avrete compiuta ciascuno
di dire una sua novelletta, che il sole fia declinato e il
caldo mancato, e potremo dove più a grado vi fia andare
prendendo diletto; e per ciò, quando questo che io dico
vi piaccia (ché disposta sono in ciò di seguire il piacer
vostro), faccianlo; e dove non vi piacesse, ciascuno infino
all'ora del vespro quello faccia che più gli piace. Le
donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare.
- Adunque, disse la reina, se questo vi piace, per questa
prima giornata voglio che libero sia a ciascuno di quella
materia ragionare che più gli sarà a grado.
E rivolta a Panfilo, il quale alla sua destra sedea, piacevolmente
gli disse che con una delle sue novelle all'altre
desse principio. Laonde Panfilo, udito il comandamento,
prestamente, essendo da tutti ascoltato, cominciò così.

Iride

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