L'acropoli di Pescina
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L'acropoli di Pescina
L'acropoli di Pescina
Pescina nella storia e nella leggenda
Le diramazioni dell'Appennino centrale nella Marsica, ora innalzandosi in alti monti, ora abbassandosi in dolci chine o in profondi scoscendimenti formanti valli e altipiani, si aggruppano ed intrecciano in modo meraviglioso da formare nel mezzo l'ampia e fertile pianura del principato del Fucino, ove un dì risplendevano le cristalline acque del lago Fucino.
Da uno di questi monti, l'Argatone, verso il levante, vicino Bisegna e San Sebastiano, scaturisce il fiume Giovenco, che, serpeggiando nella vallata e nella vasta conca fucense per la lunghezza di ventisette chilometri, si biforca al di sopra di San Benedetto; e, raccolto e compreso nei canali, s'immette pel Gran Canale Collettore, nell'emissario Torlonia.
Ad oriente del prosciugato terreno,fra un gruppo di monti se ne eleva uno erto e roccioso, nella cui cima, alta circa 900 metri, sono ancora visibili le mura ciclopiche di un'epoca antichissima, dell'età preistorica e protostorica, le quali dai recenti archeologi più propriamente son chiamate etee, una cui porzione dalla parte del sol nascente è meglio conservata. Percorrono un circuito quasi ovale di circa tre chilometri, e son composte di enormi massi, di pietra a poligoni irregolari, soprapposti gli uni sugli altri e concatenati fra loro fortemente senza cemento alcuno, i cui vuoti sono riempiti di pietre pìù piccole.
Giustamente son ritenute per monumenti rupiformi costruiti dai giganti.
Ed in vero i Marsi antichi avevano una costituzione erculea e "per la loro membratura atletica possono dirsi i Patagoni d'Italia".
In mezzo a questa rocca, arx, anche attualmente chiamata Rocca vecchia, fu costruito un castello nei tempi romani e fu fortificato e munito di robusto presidio all'epoca della guerra marsico-sociale.
Disparve poi, o per impeto di furore guerresco o per le devastazioni dei barbari ed ora appena se ne vede qualche traccia. Sul pendio di questo monte, immediatamente al di sotto delle mura pelasgiche, sorse un castello di forma pentagonale, all'altezza di 835 metri, fra il quinto e il sesto secolo di G.C.
Caduto l'impero romano, una colluvie di barbari, gli uni dopo gli altri, Eruli, Unni, Goti, Longobardi., piombarono sull'Italia, percorrendola per ogni parte, irrompendo nel bel paese, devastando, depredando, opprimendo, uccidendo e distruggendo ciò che si parava loro davanti; adeguate al suolo le città, abbattuti i castelli di rifugio, spopolati i campi, abbandonati i terreni. I barbari furibondi nelle loro incursioni usavano ogni sorta di crudeltà; saccheggi, incendii, stragi, tagli, violenze inaudite e abominevoli tormenti; gli uomini fatti prigionieri o venduti schiavi o mutilati o uccisi; le donne violentate, e i vecchi e i bambini sgozzati.
Tutta la pianura sovrastante la Marsia abbandonata dagli agricoltori e rimasta incolta, in breve tempo si coprì di arbusti spinosi e selvaggi: e gli uomini rimasti si riunirono in vichi e borgate e cercarono rifugio ai signorotti del castelli circonvicini ed a quello forte e potente del castello attiguo a Rocca Vecchia.
Il fiume Giovenco, non contenuto più negli argini,allagava la pianura e formava paludi, stagni, laghetti e piscine, che diedero il nome di Pescina al soprastante castello.
I Longobardi. della Pannonia avevano invaso l'Italia nell'anno 568 d.C., ed occupatane la parte settentrionale e centrale, avevano costituiti vari ducati, con quello potentissimo di Spoleto, del quale fece parte la Marsica, che si trovava al confine di questo ducato e di quello di Benevento.
Negli anni susseguenti s'inoltrarono nell'Italia meridionale e con le loro irruzioni, con le armi, con le famiglie, con le donne, coi vecchi e fanciulli, coi servi, con altri popoli di diverse nazioni, che per via si erano ad essi accomunati. col bestiame, cogli arredi, accresciuti dalle prede recenti, e con le tende, quasi una immensa colonia, vennero a porre stanza nell'Abruzzo.
Nelle valli del Gran Sasso d'Italia e della Maiella sostarono e vi stabilirono un gran numero di Fare.
Anche nella pianura di Marsia un'orda di essi, una tribù, una Fara, dopo una rapida e violenta incursione, si fermò e piantò le tende, prendendo alloggiamento vicino al fiume,,nei pressi della città Marsia.
Ce ne ha serbata la notizia il fiume Giovenco, che in quella località anche oggi ritiene la denominazione di fiume della Fara.
E poiché fra l'ottavo e il nono secolo seguitarono nella Marsica le incursioni dei barbari, specialmente dei Saraceni e degli Ungari, e la città Marsia, disfatta e risorta, distrutta ed in parte riedificata, fu ridotta all'ultima rovina; i cittadini superstiti- si posero al sicuro sotto la protezione del barone di Pescina, il cui castello era il più fortificato a quei tempi nella Marsica orientale.
E vi portarono le loro leggi, gli statuti, le consuetudini e gli ordinamenti municipali con tutti i loro privilegi, e con essi dalla Canonica di Santa Sabina vennero il Vescovo e il Capitolo Cattedrale dei Marsi.
La traslazione della sede Vescovile a Pescina fu poi confermata dal papa Gregorio XIII con bolla del 1 gennaio 1580.
E in questo castello per la stessa ragione si riunirono anche gli abitanti delle borgate vicine, Castelrotto già distrutto, Atrano, Geno e Cardito, Leone, Apamea ora Casella, Apinianici, Preziolo, Malleano, Vezzano, Bozzano, Ausano.
In compenso della sicurezza della vita e delle sostanze i ricoverati si obbligarono di un annuo tributo in danaro, in generi ed in opere in natura e del servizio militare tutti gli atti alle armi.
Il visconte si fece una guardia del corpo,all'uso degli antichi latrones, dei giovani più coraggiosi e più vigorosi per la robustezza delle membra e per la statura gigantesca, i quali, allorché se ne porse l'occasione, diedero prova della loro valentìa.
In quell'altura, inaccessi.bile per le rupi a picco, si fortificò dippiù coi suoi dipendenti, ampliò il castello e munì di mura di cinta anche le abitazioni dei rifugiati.
Da due lati del castello, ampliato con vasto fabbricato, scendevano dall'una e dall'altra parte, sino alla riva del fiume, ivi ricongiungendosi, due linee di solide mura di cinta con cinque porte.
E' la Pescina vecchia.
La costruzione del castello è di due epoche differenti, l'una anteriore, l'altra poste -ore al mille. Il Giannone (Istoria civile del regno di Napoli,tom.IV,lib.XVII,pag.270)e Riccardo di San Germano (agli anni 1231 e 1232) dicono che Federico Il nell'anno 1232 fece fortificare e munire tutti i castelli ai confini della Campania, ed il Faraglia riferisce che l'Imperatore Federico Il pochi anni innanzi la morte, avendo ordinata la riparazione dei castelli del regno di Napoli, volle che il castello di Pescina fosse riparato per opera della stessa terra e di quelli che appartenevano al territorio di Pescina, e se volevano prestarvi aiuto, sebbene non vi fossero tenuti, lo potevano gli uomini della città Marsia, di Venere e di Vico.
Ecco le parole del decreto imperiale:
- l'Instauretur per homines ipsius terrae cum pertinentiis suis, possunt tamen adiuvare, licet non teneantur, civitas Marsiae, Veneris et Vigu, quae sunt conviciniae."
Gli operai. saraceni, che allora erano residenti nel regno e specialmente nella Puglia, concorsero coll'opera loro a questa restaurazione; e col castello fu fatta riattare benanche la strada rotabile di accesso al medesimo, la quale dalla pianura di Marsia per Castelrotto, salendo con giri tortuosi al ripiano appellato della Luce, passava sotto le mura etee e giungeva alla porta del castello.
I visconti più rinomati di. questo castello furono i Berardi potenti conti- dei Marsi.
Pescina diede il contingente dei suoi crocesegnati col conte Rinaldo VI della stirpe suddetta, che fu uno dei dodici compagni di Boemondo capo di mille crociati nel 1105 pel riscatto del Santo Sepolcro; e un altro Rinaldo, figlio di Odorisio della medesima progenie, offrì per la baronia di Pescina a Guglielmo II il Buono nel 1188 molti soldati per la spedizione in Terrasanta.
Anche un altro Rinaldo fu Visconte di Pescina nel XIII secolo, e seguì le parti di Manfredi e di Corradino di Svevia contro Carlo d'Angiò; ma disfatto Corradino nel 1268 sui piani palentini lungo il fiume Salto fra Tagliacozzo e Albe (Alba Fucense) vicino al ponte sulla via Valeria presso il castello di Scurcola, Rinaldo fu privato della viscontea, che passò al potentissimo Ugone del Balzo, poscia a Giovanni Aguto figlio del duca di Brettagna, ed in seguito ai Píccolomini-d'Aragona conti di Celano e duchi di Amalfi.
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