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Seconda giornata: I, II, III e IV Novella

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Messaggio  Iride Dom Nov 11, 2012 4:50 pm


Novella Prima

Martellino, infignendosi attratto, sopra santo Arrigo fa
vista di guarire, e, conosciuto il suo inganno, è battuto, e
poi, preso e in pericolo venuto d'esser impiccato per la
gola, ultimamente scampa.
Spesse volte, carissime donne, avvenne che chi altrui s'è
di beffare ingegnato, e massimamente quelle cose che
sono da reverire, s'è colle beffe e talvolta col danno di sé
solo ritrovato. Il che, acciò che io al comandamento della
reina ubbidisca e principio dea con una mia novella
alla proposta, intendo di raccontarvi quello che prima
sventuratamente, e poi fuori di tutto il suo pensiero assai
felicemente, ad un nostro cittadino avvenisse.
Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi,
chiamato Arrigo, il quale, povero uomo essendo, di
portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e, con questo,
uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti.
Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo
egli, adivenne, secondo che i trivigiani affermano,
che nell'ora della sua morte le campane della maggior
chiesa di Trivigi tutte, senza essere da alcuno tirate, cominciarono
a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo,
questo Arrigo esser santo dicevano tutti; e concorso tutto
il popolo della città alla casa nella quale il suo corpo
giaceva, quello a guisa d'un corpo santo nella chiesa
maggiore ne portarono, menando quivi zoppi attratti e
ciechi e altri di qualunque infermità o difetto impediti,
quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir
sani.
In tanto tumulto e discorrimento di popolo, avvenne che
in Trivigi giunsero tre nostri cittadini, de' quali l'uno era
chiamato Stecchi, l'altro Martellino e il terzo Marchese,
uomini li quali, le corti de' signori visitando, di contraffarsi
e con nuovi atti contraffacendo qualunque altro
uomo li veditori sollazzavano. Li quali quivi non essendo
stati giammai, veggendo correre ogni uomo, si maravigliarono,
e udita la cagione per che ciò era, disiderosi
divennero d'andare a vedere. E poste le lor cose ad uno
albergo, disse Marchese:
- Noi vogliamo andare a veder questo santo; ma io per
me non veggio come noi vi ci possiam pervenire, per
ciò che io ho inteso che la piazza è piena di tedeschi e
d'altra gente armata, la quale il signor di questa terra, acciò
che romor non si faccia, vi fa stare; e oltre a questo
la chiesa, per quello che si dica, è sì piena di gente che
quasi niuna persona più vi può entrare.
Martellino allora, che di veder questa cosa disiderava,
disse:
- Per questo non rimanga; ché di pervenire infino al corpo
santo troverrò io ben modo.
Disse Marchese:
- Come?
Rispose Martellino:
- Dicolti. Io mi contraffarò a guisa d'uno attratto, e tu
dall'un lato e Stecchi dall'altro, come se io per me andar
non potessi, mi verrete sostenendo, faccendo sembianti
di volermi là menare acciò che questo santo mi guarisca;
egli non sarà alcuno che veggendoci non ci faccia
luogo, e lascici andare. A Marchese e a Stecchi piacque
il modo; e, senza alcuno indugio usciti fuori dello albergo,
tutti e tre in un solitario luogo venuti, Martellino si
storse in guisa le mani, le dita e le braccia e le gambe, e
oltre a questo la bocca e gli occhi e tutto il viso, che fiera
cosa pareva a vedere; né sarebbe stato alcuno che veduto
l'avesse, che non avesse detto lui veramente esser
tutto della persona perduto rattratto. E preso così fatto
da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si dirizzarono,
in vista tutti pieni di pietà, umilemente e per lo amor di
Dio domandando a ciascuno che dinanzi lor si parava,
che loro luogo facesse; il che agevolmente impetravano;
e in brieve, riguardati da tutti, e quasi per tutto gridandosi
- fa luogo, fa luogo, - là pervennero ove il corpo di
santo Arrigo era posto; e da certi gentili uomini, che v'erano
dattorno, fu Martellino prestamente preso e sopra il
corpo posto, acciò che per quello il beneficio della sani-
tà acquistasse.
Martellino, essendo tutta la gente attenta a vedere che di
lui avvenisse, stato alquanto, cominciò, come colui che
ottimamente far lo sapeva, a far sembiante di distendere
l'uno dediti, e appresso la mano, e poi il braccio, e così
tutto a venirsi distendendo. Il che veggendo la gente, sì
gran romore in lode di santo Arrigo facevano che i tuoni
non si sarieno potuti udire.
Era per avventura un fiorentino vicino a questo luogo, il
quale molto bene conoscea Martellino, ma per l'essere
così travolto quando vi fu menato non lo avea conosciuto;
il quale, veggendolo ridirizzato e riconosciutolo, subitamente
cominciò a ridere e a dire:
- Domine, fallo tristo! chi non avrebbe creduto, veggendol
venire, che egli fosse stato attratto da dovero?
Queste parole udirono alcuni trivigiani, li quali incontanente
il domandarono:
- Come! Non era costui attratto?
A'quali il fiorentino rispose:
- Non piaccia a Dio! egli è sempre stato diritto come è
qualunque di noi, ma sa meglio che altro uomo, come
voi avete potuto vedere, far queste ciance di contraffarsi
in qualunque forma vuole.
Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più
avanti; essi si fecero per forza innanzi e cominciarono a
gridare:
- Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e de' santi,
il quale, non essendo attratto, per ischernire il nostro
santo e noi, qui a guisa d'attratto è venuto.
E così dicendo il pigliarono, e giù del luogo dove era il
tirarono, e presolo per li capelli e stracciatigli tutti i panni
in dosso, gli cominciarono a dare delle pugna e de'
calci; né parea a colui esser uomo, che a questo far non
correa. Martellino gridava mercé per Dio e quanto poteva
s'aiutava; ma ciò era niente: la calca gli multiplicava
ogni ora addosso maggiore.
La qual cosa veggendo Stecchi e Marchese, cominciarono
fra sé a dire che la cosa stava male, e di sé medesimi
dubitando, non ardivano ad aiutarlo; anzi con gli altri insieme
gridavano ch'el fosse morto, avendo nondimeno
pensiero tuttavia come trarre il potessero delle mani del
popolo. Il quale fermamente l'avrebbe ucciso, se uno argomento
non fosse stato, il qual Marchese subitamente
prese; che, essendo ivi di fuori la famiglia tutta della signoria,
Marchese, come più tosto potè, n'andò a colui
che in luogo del podestà v'era, e disse:
- Mercé per Dio! egli è qua un malvagio uomo che m'ha
tagliata la borsa con ben cento fiorini d'oro; io vi priego
che voi il pigliate, sì che io riabbia il mio.
Subitamente, udito questo, ben dodici de' sergenti corsero
là dove il misero Martellino era senza pettine carminato,
e alle maggior fatiche del mondo rotta la calca,
loro tutto pesto e tutto rotto il trassero delle mani e menaronnelo
a palagio; dove molti seguitolo che da lui si
tenevano scherniti, avendo udito che per tagliaborse era
stato preso, non parendo loro avere alcuno altro più giusto
titolo a fargli dar la mala ventura, similemente cominciarono
a dire, ciascuno da lui essergli stata tagliata
la borsa.
Le quali cose udendo il giudice del podestà, il quale era
un ruvido uomo, prestamente da parte menatolo, sopra
ciò 'ncominciò ad esaminare. Ma Martellino rispondea
motteggiando, quasi per niente avesse quella presura; di
che il giudice turbato, fattolo legare alla colla, parecchie
tratte delle buone gli fece dare con animo di fargli confessare
ciò che coloro dicevano, per farlo poi appiccare
per la gola. Ma poi che egli fu in terra posto, domandandolo
il giudice se ciò fosse vero che coloro incontro a
lui dicevano, non valendogli il dire di no, disse:
- Signor mio, io son presto a confessarvi il vero, ma fatevi
a ciascun che mi accusa dire quando e dove io gli
tagliai la borsa, e io vi dirò quello che io avrò fatto, e
quel che no.
Disse il giudice:
- Questo mi piace; - e fattine alquanti chiamare, l'uno diceva
che gliele avea tagliata otto dì eran passati, l'altro
sei, l'altro quattro, e alcuni dicevano quel dì stesso.
Il che udendo Martellino, disse:
- Signor mio, essi mentono tutti per la gola; e che io
dica il vero, questa pruova ve ne posso fare, che così
non fossi io mai in questa terra entrato, come io mal non
ci fui, se non da poco fa in qua; e come io giunsi, per
mia disavventura andai a vedere questo corpo santo,
dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e
che questo che io dico sia vero, ve ne può far chiaro l'uficiale
del signore il quale sta alle presentagioni, e il suo
libro, e ancora l'oste mio. Per che, se così trovate come
io vi dico, non mi vogliate ad instanzia di questi malvagi
uomini straziare e uccidere.
Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi,
li quali avevan sentito che il giudice del podestà fieramente
contro a lui procedeva, e già l'aveva collato, temetter
forte, seco dicendo: "Male abbiam procacciato;
noi abbiamo costui tratto della padella, e gittatolo nel
fuoco". Per che, con ogni sollecitudine dandosi attorno,
e l'oste loro ritrovato, come il fatto era gli raccontarono.
Di che esso ridendo, gli menò ad un Sandro Agolanti, il
quale in Trivigi abitava e appresso al signore avea grande
stato, e ogni cosa per ordine dettagli, con loro insieme
il pregò che de' fatti di Martellino gli tenesse.
Sandro, dopo molte risa, andatosene al signore, impetrò
che per Martellino fosse mandato, e così fu. Il quale coloro
che per lui andarono trovarono ancora in camicia
dinanzi al giudice, e tutto smarrito e pauroso forte, perciò
che il giudice niuna cosa in sua scusa voleva udire;
anzi, per avventura avendo alcuno odio né fiorentini, del
tutto era disposto a volerlo fare impiccar per la gola, e in
niuna guisa rendere il voleva al signore, infino a tanto
che costretto non fu di renderlo a suo dispetto. Al quale
poiché egli fu davanti, e ogni cosa per ordine dettagli,
porse prieghi che in luogo di somma grazia via il lasciasse
andare; per ciò che, infino che in Firenze non
fosse, sempre gli parrebbe il capestro aver nella gola. Il
signore fece grandissime risa di così fatto accidente; e
fatta donare una roba per uomo, oltre alla speranza di
tutti e tre di così gran pericolo usciti, sani e salvi se ne
tornarono a casa loro.
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Novella Seconda

Rinaldo d'Esti, rubato, capita a Castel Guiglielmo ed è
albergato da una donna vedova e, de' suoi danni ristorato,
sano e salvo si torna a casa sua.
Degli accidenti di Martellino da Neifile raccontati senza
modo risero le donne, e massimamente tra'giovani Filostrato,
al quale, per ciò che appresso di Neifile sedea,
comandò la reina che novellando la seguitasse. Il quale
senza indugio alcuno incominciò.
Belle donne, a raccontarsi mi tira una novella di cose
catoliche e di sciagure e d'amore in parte mescolata, la
quale per avventura non fia altro che utile avere udita; e
spezialmente a coloro li quali per li dubbiosi paesi d'amore
sono camminanti, né quali, chi non ha detto il paternostro
di san Giuliano, spesse volte, ancora che abbia
buon letto, alberga male.
Era adunque, al tempo del marchese Azzo da Ferrara,
un mercatante chiamato Rinaldo d'Esti per sue bisogne
venuto a Bologna; le quali avendo fornite e a casa tornandosi,
avvenne che, uscito di Ferrara e cavalcando
verso Verona, s'abbattè in alcuni li quali mercatanti parevano
ed erano masnadieri e uomini di malvagia vita e
condizione, con li quali ragionando incautamente s'accompagnò.
Costoro, veggendol mercatante e stimando lui dover
portar danari, seco diliberarono che, come prima tempo
si vedessero, di rubarlo; e perciò, acciò che egli niuna
suspezion prendesse, come uomini modesti e di buona
condizione, pure d'oneste cose e di lealtà andavano con
lui favellando, rendendosi, in ciò che potevano e sapevano,
umili e benigni verso di lui; per che egli di avergli
trovati si reputava in gran ventura, per ciò che solo era
con uno suo fante a cavallo. E così camminando, d'una
cosa in altra, come né ragionamenti addiviene, trapassando,
caddero in sul ragionare delle orazioni che gli
uomini fanno a Dio; e l'un de' masnadieri, che erano tre,
disse verso Rinaldo:
- E voi, gentile uomo, che orazione usate di dir camminando?
Al quale Rinaldo rispose:
- Nel vero io sono uomo di queste cose assai materiale e
rozzo, e poche orazioni ho per le mani, sì come colui
che mi vivo all'antica e lascio correr due soldi per ventiquattro
denari; ma nondimeno ho sempre avuto in costume
camminando di dir la mattina, quando esco dell'albergo,
un paternostro e una avemaria per l'anima del padre
e della madre di san Giuliano, dopo il quale io priego
Iddio e lui che la seguente notte mi deano buono albergo.
E assai volte già de' miei dì sono stato cammi-
nando in gran pericoli, de' quali tutti scampato, pur sono
la notte poi stato in buon luogo e bene albergato; per che
io porto ferma credenza che san Giuliano, a cui onore io
il dico, m'abbia questa grazia impetrata da Dio; né mi
parrebbe il dì ben potere andare, né dovere la notte vegnente
bene arrivare, che io non l'avessi la mattina detto.
A cui colui, che domandato l'avea, disse:
- E istamane dicestel voi?
A cui Rinaldo rispose:
- Sì bene.
Allora quegli che già sapeva come andar doveva il fatto,
disse seco medesimo: "Al bisogno ti fia venuto; ché, se
fallito non ci viene, per mio avviso tu albergherai pur
male"; e poi gli disse:
- Io similmente ho già molto camminato, e mai nol dissi,
quantunque io l'abbia a molti molto già udito commendare,
né giammai non m'avvenne che io per ciò altro che
bene albergassi; e questa sera per avventura ve ne potrete
avvedere chi meglio albergherà, o voi che detto l'avete
o io che non l'ho detto. Bene è il vero che io uso in
luogo di quello il Dirupisti, o la 'ntemerata, o il Deprofundi,
che sono, secondo che una mia avola mi soleva
dire, di grandissima virtù.
E così di varie cose parlando e al lor cammin procedendo,
e aspettando luogo e tempo al loro malvagio proponimento,
avvenne che, essendo già tardi, di là da Castel
Guiglielmo, al valicare d'un fiume, questi tre, veggendo
l'ora tarda e il luogo solitario e chiuso, assalitolo, il rubarono,
e lui a piè e in camicia lasciato, partendosi dissero:
- Va e sappi se il tuo san Giuliano questa notte ti darà
buono albergo, ché il nostro il darà bene a noi; - e, valicato
il fiume, andaron via.
Il fante di Rinaldo veggendolo assalire, come cattivo,
niuna cosa al suo aiuto adoperò, ma, volto il cavallo sopra
il quale era, non si ritenne di correre sì fu a Castel
Guiglielmo, e in quello, essendo già sera, entrato, senza
darsi altro impaccio, albergò. Rinaldo rimaso in camicia
e scalzo, essendo il freddo grande e nevicando tuttavia
forte, non sappiendo che farsi, veggendo già sopravvenuta
la notte, tremando e battendo i denti, cominciò a riguardare
se dattorno alcun ricetto si vedesse, dove la
notte potesse stare, che non si morisse di freddo; ma
niun veggendone (per ciò che poco davanti essendo stata
guerra nella contrada v'era ogni cosa arsa), sospinto
dalla freddura, trottando si dirizzò verso Castel Guiglielmo,
non sappiendo perciò che il suo fante là o altrove si
fosse fuggito, pensando, se dentro entrare vi potesse,
qual che soccorso gli manderebbe Iddio.
Ma la notte oscura il soprapprese di lungi dal castello
presso ad un miglio; per la quale cosa sì tardi vi giunse
che, essendo le porti serrate e i ponti levati, entrar non
vi potè dentro. Laonde, dolente e isconsolato, piagnendo
guardava dintorno dove porre si potesse, che almeno addosso
non gli nevicasse; e per avventura vide una casa
sopra le mura del castello sportata alquanto in fuori, sotto
il quale sporto diliberò d'andarsi a stare infino al giorno;
e là andatosene e sotto quello sporto trovato un
uscio, come che serrato fosse, a piè di quello ragunato
alquanto di pagliericcio che vicin v'era, tristo e dolente
si pose a stare, spesse volte dolendosi a san Giuliano, dicendo
questo non essere della fede che aveva in lui. Ma
san Giuliano, avendo a lui riguardo, senza troppo indugio
gli apparecchiò buono albergo.
Egli era in questo castello una donna vedova, del corpo
bellissima quanto alcuna altra, la quale il marchese
Azzo amava quanto la vita sua, e quivi ad instanzia di sé
la facea stare. E dimorava la predetta donna in quella
casa, sotto lo sporto della quale Rinaldo s'era andato a
dimorare. Ed era il dì dinanzi per avventura il marchese
quivi venuto per doversi la notte giacere con essolei, e
in casa di lei medesima tacitamente aveva fatto fare un
bagno, e nobilmente da cena. Ed essendo ogni cosa presta,
e niun'altra cosa che la venuta del marchese era da
lei aspettata, avvenne che un fante giunse alla porta, il
quale recò novelle al marchese, per le quali a lui subitamente
cavalcar convenne; per la qual cosa, mandato a
dire alla donna che non lo attendesse, prestamente andò
via. Onde la donna, un poco sconsolata, non sappiendo
che farsi, deliberò d'entrare nel bagno fatto per lo marchese,
e poi cenare e andarsi al letto; e così nel bagno se
n'entrò.
Era questo bagno vicino all'uscio dove il meschino Rinaldo
s'era accostato fuori della terra; per che, stando la
donna nel bagno, sentì il pianto e 'l tremito che Rinaldo
faceva, il quale pareva diventato una cicogna. Laonde,
chiamata la sua fante, le disse:
- Va su e guarda fuor del muro a piè di questo uscio chi
v'è, e chi egli è, e quel ch'el vi fa.
La fante andò, e aiutandola la chiarità dell'aere, vide costui
in camicia e scalzo quivi sedersi come detto è, tremando
forte; per che ella il domandò chi el fosse. E Rinaldo,
sì forte tremando che appena poteva le parole formare,
chi el fosse e come e perché quivi, quanto più
brieve potè, le disse; e poi pietosamente la cominciò a
pregare che, se esser potesse, quivi non lo lasciasse di
freddo la notte morire.
La fante, divenutane pietosa, tornò alla donna e ogni
cosa le disse. La qual similmente pietà avendone, ricordatasi
che di quello uscio aveva la chiave, il quale alcu-
na volta serviva alle occulte entrate del marchese, disse:
- Va, e pianamente gli apri; qui è questa cena, e non saria
chi mangiarla, e da poterlo albergare ci è assai.
La fante di questa umanità avendo molto commendata la
donna, andò e sì gli aperse, e dentro messolo, quasi assiderato
veggendolo, gli disse la donna:
- Tosto, buono uomo, entra in quel bagno, il quale ancora
è caldo.
Ed egli questo, senza più inviti aspettare, di voglia fece;
e tutto dalla caldezza di quello riconfortato, da morte a
vita gli parve essere tornato. La donna gli fece apprestare
panni stati del marito di lei, poco tempo davanti morto,
li quali come vestiti s'ebbe, a suo dosso fatti parevano;
e aspettando quello che la donna gli comandasse, incominciò
a ringraziare Iddio e san Giuliano che di sì
malvagia notte, come egli aspettava, l'avevano liberato,
e a buono albergo, per quello che gli pareva, condotto
Appresso questo la donna alquanto riposatasi, avendo
fatto fare un grandissimo fuoco in una sua camminata,
in quella se ne venne, e del buono uomo domandò che
ne fosse. A cui la fante rispose:
- Madonna, egli s'è rivestito, ed è un bello uomo e par
persona molto da bene e costumato.
- Va dunque, - disse la donna - e chiamalo, e digli che
qua se ne venga al fuoco, e sì cenerà, ché so che cenato
non ha.
Rinaldo nella camminata entrato, e veggendo la donna,
e da molto parendogli, reverentemente la salutò, e quelle
grazie le quali seppe maggiori del beneficio fattogli le
rende'. La donna, vedutolo e uditolo, e parendole quello
che la fante dicea, lietamente il ricevette e seco al fuoco
familiarmente il fè sedere e dello accidente che quivi
condotto l'avea il domandò. Alla quale Rinaldo per ordine
ogni cosa narrò.
Aveva la donna, nel venire del fante di Rinaldo nel castello,
di questo alcuna cosa sentita, per che ella ciò che
da lui era detto interamente credette; e sì gli disse ciò
che del suo fante sapeva e come leggiermente la mattina
appresso ritrovare il potrebbe. Ma poi che la tavola fu
messa, come la donna volle, Rinaldo, con lei insieme le
mani lavatesi, si pose a cenare.
Egli era grande della persona e bello e piacevole nel
viso e di maniere assai laudevoli e graziose e giovane di
mezza età; al quale la donna avendo più volte posto l'occhio
addosso e molto commendatolo, e già, per lo marchese
che con lei dovea venire a giacersi, il concupiscibile
appetito avendo desto nella mente, dopo la cena, da
tavola levatasi, colla sua fante si consigliò se ben fatto
le paresse che ella, poi che il marchese beffata l'avea,
usasse quel bene che innanzi l'avea la fortuna mandato.
La fante, conoscendo il disiderio della sua donna, quanto
potè e seppe a seguirlo la confortò; per che la donna,
al fuoco tornatasi, dove Rinaldo solo lasciato aveva, cominciatolo
amorosamente a guardare, gli disse:
- Deh, Rinaldo, perché state voi così pensoso? Non credete
voi potere essere ristorato d'un cavallo e d'alquanti
panni che voi abbiate perduti? Confortatevi, state lietamente,
voi siete in casa vostra; anzi vi voglio dire più
avanti, che, veggendovi cotesti panni in dosso, li quali
del mio morto marito furono, parendomi voi pur desso,
m'è venuto stasera forse cento volte voglia d'abbracciarvi
e di baciarvi; e, se io non avessi temuto che dispiaciuto
vi fosse, per certo io l'avrei fatto.
Rinaldo, queste parole udendo e il lampeggiar degli occhi
della donna veggendo, come colui che mentecatto
non era, fattolesi incontro colle braccia aperte, disse:
- Madonna, pensando che io per voi possa omai sempre
dire che io sia vivo, a quello guardando donde torre mi
faceste, gran villania sarebbe la mia se io ogni cosa che
a grado vi fosse non m'ingegnassi di fare; e però contentate
il piacer vostro d'abbracciarmi e di baciarmi, ché io
abbraccerò e bacerò voi vie più che volentieri.
Oltre a queste non bisognar più parole. La donna, che
tutta d'amoroso disio ardeva, prestamente gli si gittò
nelle braccia; e poi che mille volte, disiderosamente strignendolo,
baciato l'ebbe e altrettante da lui fu baciata,
levatisi di quindi, nella camera se n'andarono, e senza
niuno indugio coricatisi, pienamente e molte volte, anzi
che il giorno venisse, i lor disii adempierono.
Ma poi che ad apparire cominciò l'aurora, sì come alla
donna piacque, levatisi, acciò che questa cosa non si potesse
presummere per alcuno, datigli alcuni panni assai
cattivi ed empiutagli la borsa di denari, pregandolo che
questo tenesse celato, avendogli prima mostrato che via
tener dovesse a venir dentro a ritrovare il fante suo, per
quello usciolo onde era entrato, il mise fuori.
Egli, fatto dì chiaro, mostrando di venire di più lontano,
aperte le porti, entrò nel castello e ritrovò il suo fante;
per che, rivestitosi de' panni suoi che nella valigia erano,
e volendo montare in su 'l cavallo del fante, quasi per divino
miracolo addivenne che li tre masnadieri che la
sera davanti rubato l'aveano, per altro maleficio da loro
fatto poco poi appresso presi, furono in quel castello
menati, e per confessione da loro medesimi fatta, gli fu
restituito il suo cavallo, i panni e i danari, né ne perdé
altro che un paio di cintolini, dei quali non sapevano i
masnadieri che fatto se n'avessero.
Per la qual cosa Rinaldo, Iddio e san Giuliano ringraziando,
montò a cavallo e sano e salvo ritornò a casa
sua; e i tre masnadieri il dì seguente andarono a dar de'
calci a rovaio.
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Novella Terza

Tre giovani, male il loro avere spendendo, impoveriscono;
dei quali un nepote con uno abate accontatosi tornandosi
a casa per disperato, lui truova essere la figliuola
del re d'lnghilterra, la quale lui per marito prende e
de' suoi zii ogni danno ristora, tornandogli in buono stato.
Furono con ammirazione ascoltati i casi di Rinaldo d'Esti
dalle donne e dà giovani, e la sua divozion commendata,
e Iddio e san Giuliano ringraziati, che al suo bisogno
maggiore gli avevano prestato soccorso. Né fu per
ciò (quantunque cotal mezzo di nascoso si dicesse) la
donna reputata sciocca, che saputo aveva pigliare il
bene che Iddio a casa l'aveva mandato. E mentre che
della buona notte che colei ebbe sogghignando si ragionava,
Pampinea, che sé allato allato a Filostrato vedea,
avvisando, sì come avvenne, che a lei la volta dovesse
toccare, in sé stessa recatasi, quel che dovesse dire cominciò
a pensare; e dopo il comandamento della reina,
non meno ardita che lieta, così cominciò a parlare. Valorose
donne, quanto più si parla de' fatti della Fortuna,
tanto più, a chi vuole le sue cose ben riguardare, ne resta
a poter dire; e di ciò niuno dee aver maraviglia, se discretamente
pensa che tutte le cose, le quali noi scioccamente
nostre chiamiamo, sieno nelle sue mani, e per
conseguente da lei secondo il suo occulto giudicio, sen-
za alcuna posa d'uno in altro e d'altro in uno successivamente,
senza alcuno conosciuto ordine da noi, esser da
lei permutate. Il che, quantunque con piena fede in ogni
cosa e tutto il giorno si mostri, e ancora in alcune novelle
di sopra mostrato sia, nondimeno, piacendo alla nostra
reina che sopra ciò si favelli, forse non senza utilità
degli ascoltanti aggiugnerò alle dette una mia novella, la
quale avviso dovrà piacere.
Fu già nella nostra città un cavaliere, il cui nome fu
messer Tebaldo, il quale, secondo che alcuni vogliono,
fu de' Lamberti; e altri affermano lui essere stato degli
Agolanti, forse più dal mestiere de' figliuoli di lui poscia
fatto, conforme a quello che sempre gli Agolanti hanno
fatto e fanno, prendendo argomento, che da altro. Ma,
lasciando stare di quale delle due case si fosse, dico che
esso fu né suoi tempi ricchissimo cavaliere, ed ebbe tre
figliuoli, de' quali il primo ebbe nome Lamberto, il secondo
Tedaldo, e il terzo Agolante, già belli e leggiadri
giovani, quantunque il maggiore a diciotto anni non aggiugnesse,
quando esso messer Tebaldo ricchissimo
venne a morte, e a loro, sì come a legittimi suoi eredi,
ogni suo bene e mobile e stabile lasciò.
Li quali, veggendosi rimasi ricchissimi e di contanti e di
possessioni, senza alcuno altro governo che del loro medesimo
piacere, senza alcuno freno o ritegno cominciarono
a spendere, tenendo grandissima famiglia e molti e
buoni cavalli e cani e uccelli e continuamente corte, do-
nando e armeggiando, e faccendo ciò non solamente che
a gentili uomini s'appartiene, ma ancora quello che nello
appetito loro giovenile cadeva di voler fare. Né lungamente
fecer cotal vita,che il tesoro lasciato loro dal padre
venne meno; e non bastando alle cominciate spese
seguire le loro rendite, cominciarono a impegnare e a
vendere le possessioni; e oggi l'una e doman l'altra vendendo,
appena s'avvidero che quasi al niente venuti furono,
e aperse loro gli occhi la povertà, li quali la ricchezza
aveva tenuti chiusi.
Per la qual cosa Lamberto, chiamati un giorno gli altri
due, disse loro qual fosse l'orrevolezza del padre stata e
quanta la loro, e quale la lor ricchezza e chente la povertà
nella quale per lo disordinato loro spendere eran venuti;
e, come seppe il meglio, avanti che più della lor
miseria apparisse, gli confortò con lui insieme a vendere
quel poco che rimaso era loro e andarsene via; e così fecero.
E, senza commiato chiedere o fare alcuna pompa,
di Firenze usciti, non si ritenner sì furono in Inghilterra;
e quivi, presa in Londra una casetta, faccendo sottilissime
spese, agramente cominciarono a prestare ad usura;
e sì fu in questo loro favorevole la fortuna, che in pochi
anni grandissima quantità di denari avanzarono.
Per la qual cosa con quelli, successivamente or l'uno or
l'altro a Firenze tornandosi, gran parte delle lor possessioni
ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra
quelle, e presero moglie; e continuamente in Inghilterra
prestando, ad attendere a' fatti loro un giovane loro nepote,
che avea nome Alessandro, mandarono, ed essi
tutti e tre a Firenze avendo dimenticato a qual partito gli
avesse lo sconcio spendere altra volta recati, nonostante
che in famiglia tutti venuti fossero, più che mai strabocchevolmente
spendevano ed erano sommamente creduti
da ogni mercatante, e d'ogni gran quantità di danari. Le
quali spese alquanti anni aiutò loro sostenere la moneta
da Alessandro loro mandata, il quale messo s'era in prestare
a' baroni sopra castella e altre loro entrate, le quali
di gran vantaggio bene gli rispondevano.
E mentre così i tre fratelli largamente spendeano, e mancando
denari accattavano, avendo sempre la speranza
ferma in Inghilterra, avvenne che, contro alla oppinion
d'ogni uomo, nacque in Inghilterra una guerra tra il re e
un suo figliuolo, per la qual tutta l'isola si divise, e chi
tenea con l'uno e chi coll'altro; per la qual cosa furono
tutte le castella de' baroni tolte ad Alessandro, né alcuna
altra rendita era che di niente gli rispondesse. E sperandosi
che di giorno in giorno tra 'l figliuolo e 'l padre dovesse
esser pace, e per conseguente ogni cosa restituita
ad Alessandro, e merito e capitale, Alessandro dell'isola
non si partiva, e i tre fratelli, che in Firenze erano, in
niuna cosa le loro spese grandissime limitavano, ogni
giorno più accattando.
Ma poi che in più anni niuno effetto seguire si vide alla
speranza avuta, li tre fratelli non solamente la credenza
perderono, ma, volendo coloro che aver doveano esser
pagati, furono subitamente presi; e non bastando al pagamento
le lor possessioni, per lo rimanente rimasono in
prigione, e le lor donne e i figliuoli piccioletti qual se ne
andò in contado e qual qua e qual là assai poveramente
in arnese, più non sappiendo che aspettare si dovessono,
se non misera vita sempre.
Alessandro, il quale in Inghilterra la pace più anni aspettata
avea, veggendo che ella non venia e parendogli quivi
non meno in dubbio della vita sua che invano dimorare,
di liberato di tornarsi in Italia, tutto soletto si mise in
cammino. E per ventura di Bruggia uscendo, vide n'usciva
similmente uno abate bianco con molti monaci accompagnato
e con molta famiglia e con gran salmeria
avanti, al quale appresso venieno due cavalieri antichi e
parenti del re, co' quali, sì come con conoscenti, Alessandro
accontatosi, da loro in compagnia fu volentieri
ricevuto. Camminando adunque Alessandro con costoro,
dolcemente gli domandò chi fossero i monaci che
con tanta famiglia cavalcavano avanti e dove andassono.
Al quale l'uno de' cavalieri rispose:
- Questi che avanti cavalca è un giovinetto nostro parente,
nuovamente eletto abate d'una delle maggior badie
d'lnghilterra; e per ciò che egli è più giovane che per le
leggi non è conceduto a sì fatta dignità, andiam noi con
esso lui a Roma ad impetrare dal Santo Padre che nel difetto
della troppo giovane età dispensi con lui, e appres-
so nella dignità il confermi; ma ciò non si vuol con alcuno
ragionare.
Camminando adunque il novello abate ora avanti e ora
appresso alla sua famiglia, sì come noi tutto il giorno
veggiamo per cammino avvenire de' signori, gli venne
nel cammino presso di sé veduto Alessandro, il quale
era giovane assai, di persona e di viso bellissimo, e,
quanto alcuno altro esser potesse, costumato e piacevole
e di bella maniera; il quale maravigliosamente nella prima
vista gli piacque quanto mai alcuna altra cosa gli
fosse piaciuta e, chiamatolo a sè, con lui cominciò piacevolmente
a ragionare e domandar chi fosse, donde venisse
e dove andasse. Al quale Alessandro ogni suo stato
liberamente aperse e sodisfece alla sua domanda e sé
ad ogni suo servigio, quantunque poco potesse, offerse.
L'abate, udendo il suo ragionare bello e ordinato, e più
partitamente i suoi costumi considerando e lui seco estimando,
come che il suo mestiere fosse stato servile, essere
gentile uomo, più del piacer di lui s'accese e, già
pieno di compassion divenuto delle sue sciagure, assai
familiarmente il confortò e gli disse che a buona speranza
stesse, per ciò che, se valente uom fosse, ancora Iddio
il riporterebbe là onde la fortuna l'aveva gittato, e
più ad alto; e pregollo che, poi verso Toscana andava,
gli piacesse d'essere in sua compagnia, con ciò fosse
cosa che esso là similmente andasse. Alessandro gli rendè
grazie del conforto e sé ad ogni suo comandamento
disse esser presto.
Camminando adunque l'abate, al quale nuove cose si
volgean per lo petto del veduto Alessandro, avvenne che
dopo più giorni essi pervennero ad una villa, la quale
non era troppo riccamente fornita d'alberghi; e volendo
quivi l'abate albergare, Alessandro in casa d'uno oste, il
quale assai suo dimestico era, il fece smontare, e fecegli
la sua camera fare nel meno disagiato luogo della casa;
e quasi già divenuto uno siniscalco dello abate, sì come
colui che molto era pratico, come il meglio si potè per la
villa allogata tutta la sua famiglia chi qua e chi là, avendo
l'abate cenato e già essendo buona pezza di notte e
ogni uomo andato a dormire, Alessandro domandò l'oste
là dove esso potesse dormire. Al quale l'oste rispose:
- In verità io non so; tu vedi che ogni cosa è pieno, e
puoi veder me e la mia famiglia dormir su per le panche;
tuttavia nella camera dello abate sono certi granai,
à quali io ti posso menare e porrovvi su alcun letticello,
e quivi, se ti piace, come meglio puoi questa notte ti giaci.
A cui Alessandro disse:
- Come andrò io nella camera dello abate, che sai che è
piccola e per istrettezza non v'è potuto giacere alcuno
de' suoi monaci? Se io mi fossi di ciò accorto quando le
cortine si tesero, io avrei fatto dormire sopra i granai i
156
monaci suoi e io mi sarei stato dove i monaci dormono.
Al quale l'oste disse:
- L'opera sta pur così, e tu puoi, se tu vuogli, quivi stare
il meglio del mondo: l'abate dorme, e le cortine son dinanzi;
io vi ti porrò chetamente una coltricetta, e dormiviti.
Alessandro, veggendo che questo si poteva fare senza
da re alcuna noia allo abate, vi s'accordò, e quanto più
cheta mente potè vi s'acconciò.
L'abate, il quale non dormiva, anzi alli suoi nuovi disii
fieramente pensava, udiva ciò che l'oste e Alessandro
parlavano, e similmente avea sentito dove Alessandro
s'era a giacer messo; per che, seco stesso forte contento,
cominciò a dire: - Iddio ha mandato tempo a' miei desiri:
se io nol prendo, per avventura simile a pezza non mi
tornerà -
E diliberatosi del tutto di prenderlo, parendogli ogni
cosa cheta per lo albergo, con sommessa voce chiamò
Alessandro e gli disse che appresso lui si coricasse; il
quale, dopo molte disdette spogliatosi, vi si coricò. L'abate
postagli la mano sopra 'l petto, lo 'ncominciò a toccare
non altramenti che sogliano fare le vaghe giovani i
loro amanti; di che Alessandro si maravigliò forte e dubitò
non forse l'abate, da disonesto amore preso si mo-
vesse a così fattamente toccarlo. La qual dubitazione, o
per presunzione o per alcuno atto che Alessandro facesse,
subitamente l'abate conobbe, e sorrise; e prestamente
di dosso una camicia, che avea, cacciatasi, prese la
mano d'Alessandro e quella sopra il petto si pose, dicendo:
- Alessandro, caccia via il tuo sciocco pensiero, e, cercando
qui, conosci quello che io nascondo.
Alessandro, posta la mano sopra il petto dello abate, trovò
due poppelline tonde e sode e dilicate, non altramenti
che se d'avorio fossono state; le quali egli trovate e conosciuto
tantosto costei esser femina, senza altro invito
aspettare, prestamente abbracciatala, la voleva baciare,
quando ella gli disse:
- Avanti che tu più mi t'avvicini, attendi quello che io ti
voglio dire. Come tu puoi conoscere, io son femina e
non uomo; e pulcella partitami da casa mia, al papa andava
che mi maritasse. O tua ventura o mia sciagura che
sia, come l'altro giorno ti vidi, sì di te m'accese Amore,
che donna non fu mai che tanto amasse uomo; e per
questo io ho diliberato di volere te avanti che alcuno altro
per marito; dove tu me per moglie non vogli, tantosto
di qui ti diparti e nel tuo luogo ritorna.
Alessandro, quantunque non la conoscesse, avendo riguardo
alla compagnia che ella avea, lei estimò dovere
essere nobile e ricca, e bellissima la vedea; per che, senza
troppo lungo pensiero, rispose che, se questo a lei
piacea, a lui era molto a grado.
Essa allora, levatasi a sedere in su il letto, davanti ad
una tavoletta dove Nostro Signore era effigiato, postogli
in mano uno anello, gli si fece sposare; e appresso insieme
abbracciatisi, con gran piacere di ciascuna delle parti,
quanto di quella notte restava si sollazzarono. E, preso
tra loro modo e ordine alli lor fatti, come il giorno
venne, Alessandro levatosi e per quindi della camera
uscendo, donde era entrato, senza sapere alcuno dove la
notte dormito si fosse, lieto oltre misura, con lo abate e
con sua compagnia rientrò in cammino, e dopo molte
giornate pervennero a Roma.
E quivi, poi che alcun dì dimorati furono, l'abate con li
due cavalieri e con Alessandro senza più entrarono al
papa, e fatta la debita reverenza, così cominciò l'abate a
favellare:
- Santo padre, sì come voi meglio che alcuno altro dovete
sapere, ciascun che bene e onestamente vuol vivere,
dee, in quanto può, fuggire ogni cagione la quale ad altramenti
fare il potesse conducere; il che acciò che io,
che onestamente viver disidero, potessi compiutamente
fare, nell'abito nel quale mi vedete, fuggita segretamente
con grandissima parte de' tesori del re d'lnghilterra mio
padre (il quale al re di Scozia vecchissimo signore, es-
sendo io giovane come voi mi vedete, mi voleva per
moglie dare), per qui venire, acciò che la vostra santità
mi maritasse, mi misi in via. Né mi fece tanto la vecchiezza
del re di Scozia fuggire, quanto la paura di non
fare per la fragilità della mia giovanezza, se a lui maritata
fossi, cosa che fosse contra le divine leggi e contra
l'onore del real sangue del padre mio.
E così disposta venendo, Iddio, il quale solo ottimamente
conosce ciò che fa mestiere a ciascuno, credo per la
sua misericordia, colui che a lui piacea che mio marito
fosse mi pose avanti agli occhi; e quel fu questo giovane
- e mostrò Alessandro - il quale voi qui appresso di me
vedete, li cui costumi e il cui valore son degni di qualunque
gran donna, quantunque forse la nobiltà del suo
sangue non sia così chiara come è la reale. Lui ho adunque
preso e lui voglio; né mai alcuno altro n'avrò, che
che se ne debba parere al padre mio o ad altrui. Per che
la principal cagione per la quale mi mossi è tolta via; ma
piacquemi di fornire il mio cammino, sì per visitare li
santi luoghi e reverendi, de' quali questa città è piena, e
la vostra santità, e sì acciò che per voi il contratto matrimonio
tra Alessandro e me solamente nella presenza di
Dio io facessi aperto nella vostra e per conseguente degli
altri uomini. Per che umilemente vi priego che quello
che a Dio e a me è piaciuto sia a grado a voi, e la vostra
benedizion ne doniate, acciò che con quella, sì come
con più certezza del piacere di Colui del quale voi siete
vicario, noi possiamo insieme, all'onore di Dio ed al vo-
stro, vivere e ultimamente morire.
Maravigliossi Alessandro, udendo la moglie esser figliuola
del re d'lnghilterra, e di mirabile allegrezza occulta
fu ripieno; ma più si maravigliarono li due cavalieri
e sì si turbarono che, se in altra parte che davanti al
papa stati fossero, avrebbono ad Alessandro e forse alla
donna fatta villania. D'altra parte il papa si maravigliò
assai e dello abito della donna e della sua elezione; ma,
conoscendo che indietro tornare non si potea, la volle
del suo priego sodisfare. E primieramente, racconsolati i
cavalieri li quali turbati conoscea e in buona pace con la
donna e con Alessandro rimessigli, diede ordine a quello
che da far fosse.
E il giorno posto da lui essendo venuto, davanti a tutti i
cardinali e dimolti altri gran valenti uomini, li quali invitati
ad una grandissima festa da lui apparecchiata eran
venuti, fece venire la donna realmente vestita, la qual
tanto bella e sì piacevol parea che meritamente da tutti
era commendata e simigliantemente Alessandro splendidamente
vestito, in apparenza e in costurni non miga
giovane che ad usura avesse prestato, ma più tosto reale
e da' due cavalieri molto onorato; e quivi da capo fece
solennemente le sponsalizie celebrare, e appresso le
nozze belle e magnifiche fatte, colla sua benedizione gli
licenziò.
Piacque ad Alessandro e similmente alla donna, di
Roma partendosi, di venire a Firenze, dove già la fama
aveva la novella recata; e quivi, da' cittadini con sommo
onore ricevuti, fece la donna li tre fratelli liberare, avendo
prima fatto ogni uom pagare, e loro e le lor donne rimise
nelle lor possessioni. Per la qual cosa, con buona
grazie di tutti, Alessandro con la sua donna, menandone
seco Agolante, si partì di Firenze, e a Parigi venuti, onorevolmente
dal re ricevuti furono. Quindi andarono i
due cavalieri in Inghilterra e tanto col re adoperarono,
che egli le rende' la grazia sua e con grandissima festa
lei e 'l suo genero ricevette, il quale egli poco appresso
con grandissimo onore fè cavaliere e donogli la contea
di Cornovaglia.
Il quale fu da tanto e tanto seppe fare, che egli paceficò
il figliuolo col padre, di che seguì gran bene all'isola, ed
egli n'acquistò l'amore e la grazia di tutti i paesani; e
Agolante ricoverò tutto ciò che aver vi doveano interamente
e ricco oltre modo si tornò a Firenze, avendol prima
il conte Alessandro cavalier fatto. Il conte poi con la
sua donna gloriosamente visse; e, secondo che alcuni
voglion dire, tra col suo senno e valore e l'aiuto del suocero,
egli conquistò poi la Scozia e funne re coronato.
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Novella Quarta

Landolfo Rufolo, impoverito, divien corsale e da' Genovesi
preso, rompe in mare, e sopra una cassetta, di gioie
carissime piena, scampa, e in Gurfo ricevuto da una femina,
ricco si torna a casa sua.
La Lauretta appresso Pampinea sedea, la qual veggendo
lei al glorioso fine della sua novella, senza altro aspettare,
a parlar cominciò in cotal guisa.
Graziosissime donne, niuno atto della Fortuna, secondo
il mio giudicio, si può veder maggiore, che vedere uno
d'infima miseria a stato reale elevare, come la novella di
Pampinea n'ha mostrato essere al suo Alessandro addivenuto.
E per ciò che a qualunque della proposta materia
da quinci innanzi novellerà converrà che infra questi
termini dica, non mi vergognerò io di dire una novella,
la quale, ancora che miserie maggiori in sé contenga,
non per ciò abbia così splendida riuscita. Ben so che,
pure a quella avendo riguardo, con minor diligenzia fia
la mia udita; ma altro non potendo, sarò scusata.
Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più
dilettevole parte d'ltalia; nella quale assai presso a Salerno
e una costa sopra 'l mare riguardante, la quale gli abitanti
chiamano la costa d'Amalfi, piena di picciole città,
di giardini e di fontane, e d'uomini ricchi e procaccianti
in atto di mercatantia sì come alcuni altri. Tra le quali
città dette n'è una chiamata Ravello, nella quale, come
che oggi v'abbia di ricchi uomini, ve n'ebbe già uno il
quale fu ricchissimo, chiamato Landolfo Rufolo; al quale
non bastando la sua ricchezza, disiderando di raddoppiarla,
venne presso che fatto di perder con tutta quella
sé stesso.
Costui adunque, sì come usanza suole essere de' mercatanti,
fatti suoi avvisi, comperò un grandissimo legno, e
quello tutto di suoi denari caricò di varie mercatantie e
andonne con esse in Cipri. Quivi, con quelle qualità medesime
di mercatantie che egli aveva portate, trovò essere
più altri legni venuti; per la qual cagione, non solamente
gli convenne far gran mercato di ciò che portato
avea, ma quasi, se spacciar volle le cose sue, gliele convenne
gittar via; laonde egli fu vicino al disertarsi.
E portando egli di questa cosa seco grandissima noia,
non sappiendo che farsi e veggendosi di ricchissimo
uomo in brieve tempo quasi povero divenuto, pensò o
morire o rubando ristorare i danni suoi, acciò che la
onde ricco partito s'era povero non tornasse. E, trovato
comperatore del suo gran legno, con quegli denari e con
gli altri che della sua mercatantia avuti avea, comperò
un legnetto sottile da corseggiare, e quello d'ogni cosa
opportuna a tal servigio armò e guernì ottimamente, e
diessi a far sua della roba d'ogni uomo, e massimamente
sopra i turchi.
Al qual servigio gli fu molto più la fortuna benivola che
alla mercatantia stata non era. Egli, forse infra uno anno,
rubò e prese tanti legni di turchi, che egli si trovò non
solamente avere racquistato il suo che in mercatantia
avea perduto, ma di gran lunga quello avere raddoppiato.
Per la qual cosa, gastigato dal primo dolore della perdita,
conoscendo che egli aveva assai per non incappar
nel secondo, a sé medesimo dimostrò quello che aveva,
senza voler più, dovergli bastare; e per ciò si dispose di
tornarsi con esso a casa sua. E pauroso della mercatantia,
non s'mpacciò d'investire altramenti i suoi denari,
ma con quello legnetto col quale guadagnati gli avea,
dato de' remi in acqua, si mise al ritornare. E già nello
Arcipelago venuto, levandosi la sera uno scilocco, il
quale non solamente era contrario al suo cammino, ma
ancora faceva grossissimo il mare, il quale il suo picciol
legno non avrebbe bene potuto comportare, in uno seno
di mare, il quale una piccola isoletta faceva, da quello
vento coperto, si raccolse, quivi proponendo d'aspettarlo
migliore. Nel qual seno poco stante due gran cocche di
genovesi, le quali venivano di Costantinopoli, per fuggire
quello che Landolfo fuggito avea, con fatica pervennero.
Le genti delle quali, veduto il legnetto e chiusagli
la via da potersi partire, udendo di cui egli era e già per
fama conoscendol ricchissimo, sì come uomini naturalmente
vaghi di pecunia e rapaci, a doverlo avere si disposero.
E messa in terra parte della lor gente con balestra
e bene armata, in parte la fecero andare che del le-
gnetto niuna persona, sé saettato esser non voleva, poteva
discendere; ed essi, fattisi tirare a' paliscalmi e aiutati
dal mare, s'accostarono al picciol legno di Landolfo, e
quello con picciola fatica in picciolo spazio, con tutta la
ciurma, senza perderne uomo, ebbero a man salva; e fatto
venire sopra l'una delle lor cocche Landolfo e ogni
cosa del legnetto tolta, quello sfondolarono, lui in un
povero farsettino ritenendo.
Il dì seguente, mutatosi il vento, le cocche ver ponente
venendo fer vela: e tutto quel dì prosperamente vennero
al loro viaggio; ma nel far della sera si mise un vento
tempestoso, il qual faccendo i mari altissimi, divise le
due cocche l'una dall'altra. E per forza di questo vento
addivenne che quella sopra la quale era il misero e povero
Landolfo, con grandissimo impeto di sopra all'isola
di Cifalonia percosse in una secca e, non altramenti che
un vetro percosso ad un muro tutta s'aperse e si stritolò;
di che i miseri dolenti che sopra quella erano, essendo
già il mare tutto pieno di mercatantie che notavano e di
casse e di tavole, come in così fatti casi suole avvenire,
quantunque oscurissima notte fosse e il mare grossissimo
e gonfiato, notando quelli che notar sapevano, s'incominciarono
ad appiccare a quelle cose che per ventura
loro si paravan davanti.
Intra li quali il misero Landolfo, ancora che molte volte
il dì davanti la morte chiamata avesse, seco eleggendo
di volerla più tosto che di tornare a casa sua povero
come si vedea, vedendola presta n'ebbe paura; e, come
gli altri, venutagli alle mani una tavola, a quella s'appicco',
se forse Iddio, indugiando egli l'affogare, gli mandasse
qualche aiuto allo scampo suo; e a cavallo a quella,
come meglio poteva, veggendosi sospinto dal mare e
dal vento ora in qua e ora in là, si sostenne infino al
chiaro giorno. Il quale venuto, guardandosi egli d'attorno,
niuna cosa altro che nuvoli e mare vedea, e una cassa
la quale sopra l'onde del mare notando talvolta con
grandissima paura di lui gli s'appressava, temendo non
quella cassa forse il percotesse per modo che gli noiasse;
e sempre che presso gli venia, quanto potea con
mano, come che poca forza n'avesse, la lontanava.
Ma, come che il fatto s'andasse, avvenne che, solutosi
subitamente nell'aere un groppo di vento e percosso nel
mare, sì grande in questa cassa diede e la cassa nella tavola
sopra la quale Landolfo era, che, riversata, per forza
Landolfo lasciatola andò sotto l'onde e ritornò suso
notando, più da paura che da forza aiutato, e vide da se
molto dilungata la tavola; per che, temendo non potere
ad essa pervenire, s'appressò alla cassa la quale gli era
assai vicina, e sopra il coperchio di quella posto il petto,
come meglio poteva, colle braccia la reggeva diritta. E
in questa maniera, gittato dal mare ora in qua e ora in là,
senza mangiare, sì come colui che non aveva che, e bevendo
più che non avrebbe voluto, senza sapere ove si
fosse o vedere altro che mare, dimorò tutto quel giorno
e la notte vegnente.
Il dì seguente appresso, o piacer di Dio o forza di vento
che 'l facesse, costui divenuto quasi una spugna, tenendo
forte con amendue le mani gli orli della cassa a quella
guisa che far veggiamo a coloro che per affogar sono,
quando prendono alcuna cosa, pervenne al lito dell'isola
di Gurfo, dove una povera feminetta per ventura suoi
stovigli con la rena e con l'acqua salsa lavava e facea
belli. La quale, come vide costui avvicinarsi, non conoscendo
in lui alcuna forma, dubitando e gridando si trasse
indietro.
Questi non potea favellare e poco vedea, e perciò niente
le disse; ma pure, mandandolo verso la terra il mare, costei
conobbe la forma della cassa, e più sottilmente
guardando e vedendo, conobbe primieramente le braccia
stese sopra la cassa, quindi appresso ravvisò la faccia e
quello essere che era s'imaginò. Per che, da compassion
mossa, fattasi alquanto per lo mare, che già era tranquillo,
e per li capelli presolo, con tutta la cassa il tiro in terra,
e quivi con fatica le mani dalla cassa sviluppatogli, e
quella posta in capo ad una sua figlioletta che con lei
era, lui come un picciol fanciullo ne portò nella terra, e
in una stufa messolo, tanto lo stropicciò e con acqua calda
lavo che in lui ritornò lo smarrito calore e alquante
delle perdute forze; e quando tempo le parve trattonelo,
con alquanto di buon vino e di confetto il riconforto, e
alcun giorno, come potè il meglio, il tenne, tanto che
esso, le forze recuperate, conobbe la dove era. Per che
alla buona femina parve di dovergli la sua cassa rendere,
la quale salvata gli avea, e di dirgli che omai procacciasse
sua ventura, e così fece.
Costui, che di cassa non si ricordava, pur la prese, presentandogliele
la buona femina, avvisando quella non
potere sì poco valere che alcun dì non gli facesse le spese;
e trovandola molto leggiera, assai manco della sua
speranza. Nondimeno, non essendo la buona femina in
casa, la sconficcò per vedere che dentro vi fosse, e trovò
in quella molte preziose pietre, e legate e sciolte, delle
quali egli alquanto s'intendea; le quali veggendo e di
gran valore conoscendole, lodando Iddio che ancora abbandonare
non l'avea voluto, tutto si riconfortò. Ma, si
come colui che in picciol tempo fieramente era stato balestrato
dalla fortuna due volte, dubitando della terza,
pensò convenirgli molta cautela avere a voler quelle
cose poter conducere a casa sua; per che in alcuni stracci,
come meglio potè, ravvoltole, disse alla buona femina
che più di cassa non avea bisogno, ma che, se le piacesse,
un sacco gli donasse e avessesi quella.
La buona femina il fece volentieri; e costui, rendutele
quelle grazie le quali poteva maggiori del beneficio da
lei ricevuto, recatosi suo sacco in collo, da lei si partì, e
montato sopra una barca, passò a Brandizio, e di quindi,
marina marina, si condusse infino a Trani, dove trovati
de' suoi cittadini li quali eran drappieri, quasi per l'amor
di Dio fu da loro rivestito, avendo esso già loro tutti li
169
suoi accidenti narrati, fuori che della cassa; e oltre a
questo, prestatogli cavallo e datogli compagnia, infino a
Ravello, dove del tutto diceva di voler tornare, il rimandarono.
Quivi parendogli essere sicuro, ringraziando Iddio che
condotto ve l'avea, sciolse il suo sacchetto, e con più diligenzia
cercata ogni cosa che prima fatto non avea, trovò
sé avere tante e sì fatte pietre che, a convenevole pregio
vendendole e ancor meno, egli era il doppio più ricco
che quando partito s'era. E trovato modo di spacciare
le sue pietre, infino a Gurfo mandò una buona quantità
di denari, per merito del servigio ricevuto, alla buona femina
che di mare l'avea tratto, e il simigliante fece a
Trani a coloro che rivestito l'aveano; e il rimanente, senza
più volere mercatare, si ritenne e onorevolmente visse
infino alla fine.

Iride

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